Da una visione strategica all’emergenza giornaliera

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Nell’articolo di sabato scorso su questo giornale Daniele Salvi, capo di gabinetto del Presidente del Consiglio delle Marche, ha riproposto un problema di particolare...

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Nell’articolo di sabato scorso su questo giornale Daniele Salvi, capo di gabinetto del Presidente del Consiglio delle Marche, ha riproposto un problema di particolare rilevanza per la nostra regione: come rendere sostenibile il policentrismo tipico delle Marche in un contesto competitivo che tende a premiare le concentrazioni urbane. Un punto essenziale del ragionamento di Daniele Salvi è che qualunque siano le soluzioni proposte la loro efficacia è legata alla presenza di una chiara “visione strategica”. Avere una visione strategica consente, a cascata, di fissare precisi obiettivi e impostare un sistema di monitoraggio per valutare il loro raggiungimento. Implica, soprattutto, di operare scelte chiare e in un’ottica di lungo periodo

È uno scenario abbastanza distante dall’attuale prassi politica; più propensa a rispondere agli umori dell’elettorato che ad orientarne le scelte e che si muove con orizzonti di brevissimo periodo. Diversi commentatori attribuiscono questa situazione all’indebolimento delle grandi ideologie politiche che hanno caratterizzato il secolo scorso. Vi è, però, anche un’altra difficoltà. L’utilizzo del concetto di strategia nelle politiche territoriali è relativamente recente e l’efficacia della sua applicazione non è affatto scontata. Il termine ha origini antiche nell’ambito dei trattati militari all’interno dei quali si distingue fra strategia e tattica: quest’ultima si occupa di come pianificare al meglio singole operazioni, mentre la prima riguarda il raggiungimento di obiettivi a lungo termine e su scala geografica più ampia. Dal linguaggio militare il concetto è stato esteso al confronto fra stati. In entrambi i casi l’uso della forza militare, o la sua minaccia, è uno degli elementi essenziali. L’applicazione del concetto di strategia alle scienze sociali, e al management in particolare, è relativamente recente e può farsi risalire agli anni ’60 del secolo scorso. L’applicazione all’ambito delle politiche territoriali è ancora più recente. E’ da pochi anni che si è iniziato a parlare di ‘piani strategici’ per le città ed è con la programmazione dei fondi strutturali europei 2014-2020 che alle regioni è stato chiesto di dotarsi di una “strategia di specializzazione intelligente”. Ovviamente, nel contesto aziendale e territoriale il concetto ha perso il riferimento all’uso della forza per accentuare quello della fissazione di obiettivi di lungo termine, in presenza di risorse scarse e in un contesto di competizione. Nell’ambito militare, così come in quello aziendale, la definizione di una visione strategica e la sua applicazione seguono un processo rigorosamente gerarchico (top-down). Ciò non è possibile nell’ambito delle politiche territoriali dove anzi si enfatizza l’ascolto dei bisogni e degli orientamenti degli stakeholder e dei cittadini (bottom up). Il compromesso che si è cercato fra approccio top-down e approccio bottom-up produce risultati a volte paradossali. Alcuni dei piani strategici comunali o regionali sono un lungo elenco di “desiderata”, troppo numerosi per essere perseguiti con efficacia e in molti casi contraddittori; esattamente il contrario di ciò che ci si aspetterebbe da un piano strategico. Che implica innanzitutto la necessità di operare delle scelte. In alternativa si può dare l’illusione di accontentare tutti, con il risultato di modificare ben poco e di intervenire solo nell’emergenza. Quello che si fa nel nostro paese da diversi decenni un po’ a tutti i livelli di governo. Sicuramente vi è una questione di leadership ma non è il solo problema, anche tenuto conto dal fatto che sindaci e governatori di regione non hanno le prerogative di generali o amministratori d’impresa. I leader sono ovviamente importanti, ma il ruolo fondamentale nell’elaborazione di una visione strategica dovrebbe essere affidato ai partiti politici. Da essi ci si aspetta la capacità di ascolto (bottom up) e, soprattutto, la capacità di sintesi e di proposta (top down). C’è da augurarsi che le imminenti elezioni regionali siano un’occasione di dibattito che non si limiti ai problemi contingenti ma proponga un confronto fra visioni a più lungo termine dell’economia e della società regionale. 


*Docente di Economia dell’Università Politecnica delle Marche Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico