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In un volume intitolato “L’arte dell’accecamento”, il filosofo Paul Virilio scrive che al tempo presente “la paura è diventata l’arte contemporanea della mutua distruzione assicurata, e, comunque una cultura dominante”. Dopo la pandemia - che ha ripristinato una vetero-mortalità tipica di epoche che precedevano la transizione epidemiologica verificatasi in Occidente con le malattie epidemiche che cedevano il dominio della morbilità a quelle cronico-degenerative - ora la guerra conquista una ribalta che credevamo preclusa, smascherando la debolezza della neutralizzazione economicistica dei conflitti operata dal mercato globale e legittimata dalla caratura giuridica dello European and American way of life. In questi giorni i drammatici appelli del presidente ucraino sembrano richiamare alla lettera le intramontabili parole di Tito Livio: Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur (mentre a Roma si delibera, Sagunto viene espugnata), con una impressionante movimentazione di interessi, scenari ed equilibri politico-finanziari destinati a strutturare in modo imprevedibile quella che il sociologo Ulrich Beck definiva “la metamorfosi del mondo”. Questa guerra disegna un brusco ritorno alla logica paranoide dei blocchi, all’interno di un orizzonte passatista che sposa l’inquietante contingenza di un futuro tecno-scientifico privato della sua determinante umanistica. La guerra post-moderna si connota anche come contemporaneo superamento e ripristino dei clichè dei conflitti tradizionali: la presenza del combattente nel luogo dello scontro, ma anche la sua sostituzione elettronica; la guerra di strada che coabita con le logiche della cyberwar, ecc. Quella in Ucraina si può definire “guerra ibrida”, non solo perché esprime una sorta di rappresentazione in chiave bellica dei rapporti di forza tipici della società funzionalmente differenziata, ma perché si compone di diverse guerre concentriche, combattute ai vari livelli della struttura sociale globalizzata, tra cui quella tradizionale delle forze in campo. Tale ibridazione si lega in modo specifico alla politica di modernizzazione dell’esercito della ex Unione Sovietica. Nel 2013 il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe Valery Gerasimov elaborò una nuova dottrina bellica, rielaborando il concetto di guerra ibrida noto nell’ambito dell’expertise militare. Inoltre, lo sviluppo di sofisticati sistemi di comunicazione avrebbe potenziato gli strumenti di information warfare, in quanto la diffusione dell’informatica e la strutturazione di organizzazioni terroristiche modificavano in profondità le tecniche ed i tempi del conflitto, dominati da una evoluzione strategica che, nel passaggio dalla guerra classica alla guerra post-moderna, metteva in crisi la stessa idea di legge internazionale umanitaria. Nel Novecento la linea del fronte stabiliva il confine tra il teatro bellico ed il restante territorio, con una chiara delimitazione tra eserciti e civili non coinvolti nel conflitto. Nella nostra epoca questa ed altre linee di demarcazione sembrano del tutto scomparse perché le parti in lotta combattono una guerra che tende a mescolare elementi in precedenza tenuti rigorosamente distinti. Siamo ormai alla guerra “liquida”, con azioni che si sottraggono dalle regole di un ethos belligerante statuito in sede Onu ed interpretato come argine alla pulsione di morte che animava i combattenti. Dunque, nella guerra ucraina il registro eroico che vede cittadini inesperti armarsi in un progetto di difesa collettiva centrato sull’elezione di simboli da difendere e per cui rischiare la vita, si confronta con quello altamente tecnologico-digitale che interferisce potentemente con il primo fino a configurarne una certa residualità se confrontato con le due tendenze di fondo della guerra moderna: ibridazione e tecnicizzazione.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale
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Corriere Adriatico