Ripartiamo dagli oratori per dare risposte ai giovani

Ripartiamo dagli oratori per dare risposte ai giovani
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“I giovani sono terra di nessuno”, diceva il Servo di Dio don Oreste Benzi. Ma in pratica nessuno si occupa realmente dei giovani. Interagire con i ragazzi non è per nulla semplice. La società è portata ad alzare muri, categorizzare e “schedare” le persone. E così le generazioni appaiono sempre più divise tra loro. Purtroppo, nella nostra regione sono piuttosto frequenti episodi di violenza che vedono protagonisti i giovani. La prima reazione nel vedere una situazione del genere è allontanarla da noi, pensando che mai possa riguardare il nostro ambiente vitale, la quotidianità di ciascuno di noi. Ma, di fatto, non possono non sconvolgerci e interpellarci le immagini di violenza, che rimbalzano da un telefonino all’altro, di risse furiose.

Come quella divampata a Fabriano tra adolescenti, che si sono reciprocamente scagliati addosso sedie e tavoli in mezzo a famiglie e anziani, all’interno di uno chalet, al culmine di un evento carico di significato e suggestione come il palio di San Giovanni Battista. Un’analoga vicenda è avvenuta recentemente anche a Civitanova Marche dove gruppi di giovanissimi, composti da ragazzi e ragazze, si sono dati appuntamento e si sono scontrati, per motivi ignoti, nei pressi dell’area portuale danneggiando la recinzione della Capitaneria di porto. Un’altra morsa che attanaglia la regione e l’intero territorio nazionale è quella degli atti di vandalismo, che si ripetono a cadenza settimanale. Al parco Gabbiano di Torrette, per citare un altro accadimento di questi giorni, sono stati rovinati, per ben due volte consecutive, i giochi destinati ai bambini appena inaugurati. Dinanzi al desolante scenario di ragazzi che imbrattano, devastano, offendono e si picchiano selvaggiamente subentra un sentimento di sconforto e incredulità, unito alla preoccupazione che qualcuno possa veramente farsi male. Assistiamo attoniti al manifestarsi di quello che Papa Francesco definisce lo “spirito di Caino”.

Non ha senso fare insussistenti distinzioni, perché quelli che vediamo sono tutti figli e nipoti nostri. Non parlarne o nascondere la polvere sotto il tappeto è un errore. Con la stessa onestà va rilevato che i giovani e i bambini di oggi sono mondi profondamente diversi e distanti. E questa distinzione si accresce continuamente. I teenagers esprimono una rabbia, un malessere da interpretare: la loro aggressività deve indurre a metterci in discussione. Le esplosioni collettive di rabbia sono ormai un fenomeno capillarmente diffuso ovunque. Nelle periferie metropolitane e nei piccoli centri. Non sono più episodi rari, bensì una deriva sistematica. Dobbiamo chiederci, dunque, dove ci porteranno la mano alzata contro Abele e la furia repressa da scaricare ad ogni costo. Dietro a tutto ciò c’è un grido di solitudine. Una richiesta di affetto che non si sente ma si vede nell’uso di alcol e droghe e nella ludopatia dilagante. L’urlo dei nostri ragazzi è il grido individuale e collettivo dei loro silenzi, di schiavitù e prigionie che la comunità finge di ignorare.

A questo contesto inquietante si contrappone l’immagine limpida degli oratori. Negli occhi dei bambini si legge la speranza in un modo migliore che poi non gli verrà dato. Dai loro sguardi affiorano l’innocenza e la domanda di futuro. Negli oratori si trasferisce proprio questa speranza che è nostro compito di adulti far sì che non venga delusa. Dalla vita animata e travolgente degli oratori si respira quanto i bambini cerchino modelli positivi, costruttivi. I piccoli sono assetati di persone credibili, di esempi diversi da quelli presentati da una società rabbiosa. Abbiamo l’opportunità e la responsabilità di ricominciare dall’oratorio come modello di una nuova comunità fondata sulla capacità di condividere e di apprezzare le diversità. È così che le nuove generazioni possono imparare a rispettarsi affinché tutto si fondi sulla sacralità del rispetto dell’altro. La regola d’ora del nostro stare insieme è credere nel bene del prossimo. Imparare a stimare e a incoraggiare soprattutto chi si trova ad affrontare una situazione di disagio. È questa la strada per riconoscere nell’altro l’umanità che è in ciascuno di noi.

*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

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Corriere Adriatico