La scorsa settimana il dibattito di politica economica si è concentrato su due principali questioni: le modifiche al meccanismo europeo di stabilità e la manovra...
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Sollecitazione quanto mai necessaria poiché da molto tempo, e indipendentemente dal colore politico, l’azione dei governi italiani si caratterizza per la rincorsa alle emergenze del momento piuttosto che per il perseguimento di strategie a lungo termine. All’interno di queste ultime assume un’urgenza non più dilazionabile il tema dell’istruzione, in particolare dell’istruzione secondaria e terziaria, cioè delle scuole superiori e dell’università. Mentre si discuteva di plastic e sugar tax, la scorsa settimana è uscito il rapporto dell’Ocse (l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo dei paesi avanzati) sul grado di istruzione degli adolescenti nei paesi membri. Il quadro che emerge per il nostro paese dovrebbe far suonare un grande campanello dall’allarme. La preparazione dei nostri ragazzi su alcune materie fondamentali – lingua, matematica e scienze - è inferiore alla media dei paesi Ocse e, dato ancor più allarmante, molto distante dai livelli dei paesi con le migliori performance.
Oltre al problema della qualità nell’istruzione superiore nel nostro paese abbiamo anche il problema della quantità, in particolare per l’istruzione universitaria. L’Italia è da qualche anno al penultimo posto fra i vent’otto paesi della UE per la percentuale di giovani laureati. In assenza di una strategia in questo ambito rischiamo di finire all’ultimo posto nei prossimi anni. È necessario favorire il passaggio all’istruzione terziaria dei diplomati sia rafforzando gli interventi per il diritto allo studio, sia potenziando i percorsi professionalizzanti paralleli alle lauree universitarie. Qualunque siano le sensibilità politiche rispetto agli obiettivi da perseguire, per intervenire in modo efficace su queste questioni occorre avere una visione e una strategia di lungo termine. E, ovviamente, investire risorse adeguate a raggiungere gli obiettivi prefissati. Anche per l’aspetto delle risorse l’Italia è fra i paesi avanzati con il più basso livello di investimento nell’istruzione, in particolare quella universitaria. La scarsa sensibilità per il tema dell’istruzione nel nostro paese è per me incomprensibile. Ripetiamo continuamente che l’Italia è un paese con poche risorse naturali, che ha da sempre basato la sua fortuna sull’ingegno, sulla capacità e sulla creatività delle persone. Nell’economia della conoscenza quest’ingegno e queste capacità debbono essere sostenute anche da un’adeguata formazione. Senza la quale si riducono fortemente le possibilità di competere nell’arena globale. A differenza che nel passato vi è uno strettissimo legame fra grado di istruzione della popolazione e capacità di produrre reddito.
Cosa impedisce al nostro paese di impostare un ambizioso piano di potenziamento dell’istruzione superiore e di dedicarvi adeguate risorse? Vi sono due possibili spiegazioni. La prima è la miopia che da tempo caratterizza il sistema politico italiano, continuamente sottoposto a prove elettorali e impossibilitato a darsi obiettivi di lungo termine. La seconda fa riferimento al fatto che gli adolescenti, principali beneficiari degli investimenti nell’istruzione, non votano, mentre nel nostro paese cresce continuamente la quota delle persone anziane. Voglio pensare che la spiegazione sia la prima e non la seconda, che sarebbe la spia di un inaccettabile egoismo intergenerazionale.
* Docente di Economia dell’Università Politecnica delle Marche Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico