Bene l’innovazione, ma bisogna puntare sui sistemi di impresa

Bene l’innovazione, ma bisogna puntare sui sistemi di impresa
Le statistiche spesso restituiscono un quadro di apparente omogeneità nella dinamica economica dei diversi paesi, ma nascondono in realtà enormi differenze quando...

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Le statistiche spesso restituiscono un quadro di apparente omogeneità nella dinamica economica dei diversi paesi, ma nascondono in realtà enormi differenze quando riferite a livelli territoriali più ristretti. Ad esempio, il Pil procapite italiano, che è circa il 10% inferiore al dato europeo, è in realtà una media tra i dati molto positivi di alcune regioni del Nord del paese, che si collocano ben al di sopra dei paesi più ricchi, e quelli di altre aree, principalmente nel Mezzogiorno, che registrano invece livelli di gran lunga inferiori. Peraltro, oltre che estremamente ampi, i divari tra le regioni all’interno dei singoli paesi tendono purtroppo ad allargarsi nel corso degli anni, senza rilevanti eccezioni per nessun paese.

Nella maggioranza dei casi, le differenze nelle performance delle regioni non hanno una causa comune. Ogni regione ha fattori di ritardo specifici e diversi da quelle delle altre, anche quando le strutture produttive e settoriali sono quasi del tutto identiche. Parafrasando (rispettosamente) Tolstoj, si potrebbe dire che, mentre le regioni virtuose sono tutte molto simili tra loro, le regioni in difficoltà hanno una moltitudine di fattori di freno, tutti diversi tra loro e specifici alle singole regioni. E le differenze che essi generano nello sviluppo sono talmente evidenti che giustificano addirittura una politica specifica a livello europeo, ossia la politica di coesione regionale. A questi divari, i governi regionali hanno nel tempo risposto prevalentemente con la leva dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico, declinati – talvolta in maniera palesemente ingenua o non tempestiva – in coerenza con le specializzazioni intelligenti. Eccellente politica quella dell’innovazione e della ricerca, certamente adatta alle regioni sulla frontiera, per le quali gli interventi insistono su meccanismi rodati e sperimentati nel tempo. Meno scontata, però, per le altre regioni, per le quali l’innovazione è una delle leve possibili, ma non necessariamente la più efficace.

Una policy da verificare, dunque, specie per quelle regioni in transizione industriale, come le Marche, per le quali una solida e competitiva struttura produttiva lascia progressivamente spazio ad una rete di relazioni economiche e tecnologiche più fluide e articolate, che però si conoscono molto poco e sulle quali si insiste ancora meno. Esiste il rischio che un’azione unicamente rivolta all’innovazione abbia un basso impatto sul sistema economico? Certamente si, in particolare nei sistemi di produzione fatti in prevalenza (o solo) da Pmi, e dove le grandi imprese non hanno connessioni con il sistema locale. Depurata dall’effetto nominale del tiraggio delle agevolazioni, la capacità di assorbimento del sistema può risultare fortemente limitata da questo effetto di struttura, che rischia di vanificare nei fatti l’azione di policy.

Analogamente, l’impatto può risultare ridotto se l’azione innovativa non è associata ad una contestuale azione sul sistema formativo, che ne garantisca coerenza e sinergia. Infine, e più importante, il rischio è elevato nelle aree che perdono la connotazione di sistemi di “imprese” e si trasformano progressivamente in sistemi di “produzione”, ossia costituiti in prevalenza da fabbriche e opifici manifatturieri, come accade in numerose regioni in transizione industriale. In queste, il beneficio dell’innovazione è solo in parte trattenuto localmente, perché l’apparato produttivo è confinato in specifiche fasi della filiera dove il valore catturato dalle imprese può essere anche molto inferiore a quello da loro creato.

Quali implicazioni per le azioni a favore della transizione industriale? Innanzi tutto, occorre qualificare l’innovazione, ossia guardare non solo all’innovazione tecnologica, ma prestare attenzione ad un numero maggiore di obiettivi di policy, che includono sia forme più ampie di innovazione per le imprese, sia modelli nuovi di interazione del settore pubblico con l’economia. In tale ambito, la formazione, l’educazione terziaria e la transizione ecologica possono avere un ruolo decisivo. In secondo luogo, occorre definire nuovi strumenti di policy, anche finanziari, che accompagnino le imprese negli investimenti in asset immateriali e ne favoriscano, per tale via, il riposizionamento in differenti fasi della catena del valore.

Infine, occorre monitorare con attenzione le cause e gli esiti del percorso di riconfigurazione del sistema economico, per definire azioni di politica attiva, anche sperimentali, finalizzate a mitigare le debolezze e a intervenire sui punti di rottura. Per dirla ancora con lo scrittore russo, monitorare con attenzione e adoperarsi per ammorbidire quelle cause di infelicità che rendono una regione diversa da tutte le altre.

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Corriere Adriatico