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Sto in fissa con i protocolli antiCovid (accurata lettura dei). Sì, lo ammetto, è una fissa di ripiego. In realtà, come tutti non vedo l’ora che lo stato di emergenza finisca e il Cts venga congedato e ogni e qualsiasi protocollo sia consegnato alla storia. Come sta avvenendo in diversi Paesi, in Danimarca per esempio, che solo poche settimane fa era fra i luoghi più infestati al mondo e ora ha cancellato ogni restrizione, via la mascherina, via il Green Pass (altro che renderlo illimitato, dai: il GP quel che poteva fare per incrementare la vaccinazioni l’ha fatto, quel che non ha fatto non farà), via tutto, mentre noi si procede più cauti e vabbè, esercitiamo ancora un po’ la pazienza, grande virtù. Prima di archiviare questo interminabile biennio ristretto, ho pensato che avrei dovuto consultarne un po’ di ‘sti protocolli, se non ora quando, e finora avevo sempre evitato, sapevo giusto la roba grossa, si può uscire - non si può uscire, maschera all’aperto sì maschera all’aperto no, e di autocertificazioni ne ho compilata una, senza data, l’avrei aggiunta all’ultimo momento, e me la son portata dietro per settimane e nessuno mi ha chiesto di esibirla, ci sono rimasto male. Ho iniziato a leggerli e ho preso il vizio, non riesco a smettere, mi appassionano questi testi pedanti come rivolti a bambini che gli devi spiegare tutto. Prendiamo il protocollo per il Festival di Sanremo. Io, sbrigativo, l’avrei scritto così. Obbligo di Ffp2 in teatro, un tampone ogni tot giorni e igienizzare le mani e osservare il distanziamento come tutti facciamo da due anni. E basta lì o quasi: aggiungendo giusto qualche stringata regola per gestire i movimenti dietro le quinte. Invece è una fioritura lussureggiante di norme stringenti precisissime e anche di raccomandazioni accorate che coprono l’intero arco della giornata, ogni spazio vitale inclusi i privatissimi. Per dire. Le case discografiche sono tenute a tracciare i movimenti degli artisti e comunicarli alla direzione del Festival. Gli artisti vengono scortati sul palco da un ispettore di studio che li riprende in consegna a esibizione conclusa e li affida a una hostess per il tragitto verso il camerino (sosta consentita breve, immagino), quindi verso l’uscita dal teatro: più o meno, come ti trasformo un essere umano in un pacco postale. I cantanti sono inoltre invitati a pranzare da soli, a non attirare la curiosità dei passanti (come, di grazia? girando camuffati da umili vecchiette piegate dall’età? con occhialoni neri a simulare cataratta recente?), a non scambiare due parole manco coi colleghi e a non far salire nessuno in camera (e ci siamo capiti). Suppongo - suppongo, eh - che per chi si azzardasse ad avvicinare, non autorizzato, Amadeus sia previsto l’arresto immediato, il suo contagio sarebbe una sciagura. Ancor più soddisfazione (va da sé perversa: la fascinazione per ciò che con te non c’entra nulla) mi provoca la lettura e rilettura delle regole in vigore alle Olimpiadi invernali di Pechino.
*Opinionista e critico cinematografico
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