I vaghi contorni delle riforme nel piano Next Generation Eu

I vaghi contorni delle riforme nel piano Next Generation Eu
Fra le ragioni che hanno portato alla caduta del “Conte 2” e alla formazione del nuovo governo vi è stata l’insoddisfazione per il Piano Nazionale di...

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Fra le ragioni che hanno portato alla caduta del “Conte 2” e alla formazione del nuovo governo vi è stata l’insoddisfazione per il Piano Nazionale di Recupero e Resilienza, approvato dal Consiglio dei Ministri dello scorso 12 gennaio. Oltre alla questione dei ritardi nel suo iter di approvazione i principali elementi di insoddisfazione sono relativi ai suoi contenuti. Dal punto di vista dei capitoli sui quali allocare le risorse i gradi di libertà non sono molti poiché l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dal Next Generation EU si accompagna ad una serie di vincoli che i singoli paesi sono tenuti ad osservare. Se quindi gran parte del ‘corpo’ del piano è già definita e difficilmente modificabile il rimprovero mosso all’attuale versione del piano è che risulta debole nella ‘testa’ e nelle ‘gambe’. Le ‘gambe’ su cui il piano dovrebbe camminare fanno riferimento alla definizione dei piani di attuazione. Come già notato da diversi commentatori, a fronte dell’indicazione di obiettivi e ambiti di intervento manca in molti casi una precisa indicazione dei soggetti che avranno la responsabilità degli interventi e degli strumenti per poterli realizzare. È una pecca notevole in un paese che non brilla per capacità esecutiva, soprattutto quando sono coinvolte le amministrazioni pubbliche. La ‘testa’ fa invece riferimento all’assenza nel piano di una chiara visione di dove si vuole portare il paese nel prossimo futuro grazie alle risorse e alle riforme messe in atto con il Piano. In realtà, nelle premesse al piano questa visione sembra essere chiaramente delineata quando si mette in evidenza che l’obiettivo è quello di “… liberare il potenziale di crescita dell’economia, incrementare la produttività, creare nuova occupazione e migliorare la qualità del lavoro e dei servizi di cittadinanza…”. E si indicano anche alcune priorità: il contrasto alle discriminazioni di genere; l’accrescimento delle competenze, delle capacità e delle prospettive occupazionali dei giovani; il riequilibrio territoriale e lo sviluppo del mezzogiorno. Si tratta di problemi non nuovi per l’agenda dei governi italiani, ma che negli ultimi decenni non solo non sono stati risolti ma in qualche caso si sono acuiti. In assenza di una chiara strategia su come raggiungerli, questi obiettivi rischiano anche stavolta di rimanere un miraggio. La possibilità di trasformare la ‘visione’ in realtà dipende non solo e non tanto dai capitoli su cui si deciderà di allocare le risorse finanziarie ma da una necessaria rivoluzione nelle regole e nei comportamenti di imprese, cittadini e pubbliche amministrazioni. Il Piano sembra essere consapevole di ciò quando ricorda la rilevanza delle riforme di contesto necessarie a rimuovere i vincoli che rallentano la realizzazione degli investimenti e ne frenano la produttività. Nella parte relativa alle riforme si menzionano quelle relative al sistema giudiziario, al sistema tributario, al mercato del lavoro e alla promozione della concorrenza. A cui andrebbe sicuramente aggiunta quella della pubblica amministrazione. Su queste riforme il Piano, però, rimane estremamente vago. Chi non vorrebbe procedimenti civili e penali più brevi? O un fisco più equo, semplice ed efficiente? Il problema è come passare dalle enunciazioni generali alle scelte concrete. E si tratta di scelte che dovranno necessariamente favorire alcune categorie o comportamenti e penalizzarne altri. Nel nostro paese si è nel tempo consolidata l’idea che si possano fare riforme senza scontentare nessuno. Nel tentativo di accontentare tutti o di non scontentare nessuno si finisce per non attuare le scelte che sarebbero necessarie per raggiungere gli obiettivi enunciati. Promuovere la concorrenza, ad esempio, implica l’eliminazione di molte situazioni di privilegio e di rendita; chi ne gode non sarà affatto contento. Rendere più efficiente la pubblica amministrazione, e favorire nel contempo donne e giovani, è possibile premiando merito e competenza piuttosto che l’anzianità; e farlo da subito, rimuovendo l’alibi dei diritti acquisiti. Dal nuovo governo ci si aspetta non solo la capacità di spendere rapidamente le risorse ma soprattutto la capacità di operare scelte. 

 

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni 

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Corriere Adriatico