Spopolamento programmato e l’economia delle aree interne

Spopolamento programmato e l’economia delle aree interne
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Il Rapporto annuale sull’economia regionale prodotto dalla sede regionale della Banca d’Italia e presentato mercoledì scorso offre una notevole quantità di dati e di analisi per comprendere l’evoluzione dell’economia regionale. Il Rapporto è innanzitutto rivolto ad esaminare i risultati conseguiti nel 2020 e ad offrire elementi utili per interpretare l’evoluzione in atto. Alcune analisi offrono anche l’occasione per ragionare sulle prospettive di lungo periodo. Prendo spunto da un approfondimento relativo all’evoluzione demografica della regione. Nell’ultimo decennio la popolazione delle Marche si è contratta del 2,4%, più che nella media italiana. Ed è ulteriormente invecchiata; l’età media ha quasi raggiunto i 47 anni, valore che supera di 1,2 anni il dato medio nazionale. Se si scende a livello comunale si osserva un’elevata eterogeneità di andamenti. La popolazione registra una sostanziale tenuta, ed in qualche caso un leggero aumento, nei comuni della fascia costiera, mentre è diminuita nelle zone interne ed in particolare nei comuni montani di minore dimensione. Si tratta di un trend strutturale che per alcune aree della nostra regione è stato accentuato dagli eventi sismici del 2016. Anche in relazione alla ricostruzione post sisma negli ultimi anni si è riproposto con forza il tema della ricerca di nuovi modelli di sviluppo delle aree interne, in grado di arrestarne il declino. Ho l’impressione che molti degli obiettivi associati alle diverse proposte di nuovi modelli di sviluppo delle aree interne siano destinati a rimanere sulla carta; a meno che non siano accompagnati da un ripensamento radicale del modello di insediamento della popolazione sul territorio. Quello che abbiamo ereditato sull’Appennino è un sistema di insediamenti funzionale ad un’economia basata sull’agricoltura e sulle attività silvo-pastorali. Si tratta di un modello insediativo non più adatto alle nuove condizioni di produzione del reddito e, soprattutto, alle nuove esigenze di accesso ai servizi pubblici e privati che sono considerati irrinunciabili nelle scelte localizzative di individui e famiglie. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono risolvere solo in parte il problema: si può fare una transazione bancaria da qualunque punto purché si disponga di una connessione ad internet ma non si possono garantire complesse operazioni chirurgiche in modo decentrato. Non è solo una questione di costi ma anche di efficacia: una scuola elementare con pochi alunni non ha solo un costo maggiore per alunno ma determina anche un peggiormente della qualità del processo educativo. Non è pensabile l’idea di adattare l’organizzazione sociale ed economica del ventunesimo secolo su un modello insediativo che si è strutturato e consolidato per un’economia e una società pre-industriali. Una parte di questo patrimonio insediativo potrà essere utilizzato a scopi ricreativi e turistici ma gli insediamenti della popolazione vanno ripensati in funzione delle nuove esigenze economiche e sociali e, in particolare, dell’accesso ad una gamma diversifica di servizi, da quelli essenziali a quelli di svago, che è nelle attese di gran parte dei cittadini. Occorre una strategia che definirei di ‘spopolamento programmato’ di alcune aree a favore di altre nelle quali è possibile conseguire livelli di densità compatibili con le attuali esigenze sociali ed economiche. È la tesi sostenuta da Romano Prodi nel suo intervento conclusivo al convegno di Save The Apps tenutosi a Fabriano nel giugno 2019 e che riporto: «L’idea che si possano far vivere persone isolate come un tempo ci deve passare dalla mente… gli insediamenti vanno organizzati dove può vivere la gente, dove si può fare fronte alle esigenze delle famiglie, dove ci può essere una comunità abbastanza grande per andare a scuola e per divertirsi». E condivido anche la considerazione generale riguardo a tante proposte di nuovi modelli di sviluppo: «Operando in modo velleitario, anche se con grande passione, buttiamo via risorse». Le alternative ad uno “spopolamento programmato” rischiano di farci continuare nel circolo vizioso già sperimentato di spopolamento, declino economico e ulteriore spopolamento.

 

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni

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Corriere Adriatico