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A pochi giorni dall’inizio della Quaresima, il Papa ha invitato i fedeli di tutto il mondo a utilizzare bene questo tempo per rinnovare fede, speranza e carità. Vissuta sulle orme di Cristo, «nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno», la carità – ha spiegato il Pontefice – «si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione». In questa settimana la Chiesa Cattolica ha esortato i credenti alla riflessione e alla preghiera sulle nuove schiavitù. Bambini costretti a mendicare in strada, giovani ridotti all’accattonaggio, donne illuse dal miraggio di un lavoro gratificante che si ritrovano schiavizzate sui marciapiedi e nei locali del mercimonio coatto. Migranti che perdono la vita lungo le rotte di terra e di mare verso il sogno di una vita migliore, lavoratori costretti a turni massacranti da occupazioni in nero. Queste e tante altre immagini sono accomunate in una sola parola: tratta. La ricorrenza scelta dalla Chiesa – ossia l’8 febbraio, memoria di Santa Giuseppina Bakhita – è divenuta momento di valutazione globale su una piaga sociale che, secondo la fondazione Scelles, riguarda 44 milioni di persone finite ogni anno nella rete dei trafficanti di carne umana. Papa Francesco ha definito tutto ciò una «vigliaccheria e un degrado per l’umanità intera». Sono le forme di sfruttamento e maltrattamento subite soprattutto da donne e bambini. Un’immane tragedia che «interpella tutti» e che «non possiamo ignorare». E invece, dall’interno di quella classe dirigente occidentale che dovrebbe impegnarsi a liberare i neo-schiavi, si alzano ciclicamente voci bipartisan che reclamano la regolarizzazione del turpe mercato di esseri umani. Ciò, senza il minimo riguardo per la dignità di creature vulnerabili e indifese, ignorando la vergognosa regressione offerta agli occhi dell’opinione pubblica. Una riproposizione della mentalità schiavista che annoverava tra le fonti di arricchimento il fiorente commercio affidato a quelle navi negriere che, oggi, con un subdolo linguaggio economicistico verrebbero definite strumenti per accrescere il Pil. Fin qui le miserie e le inadeguate forze umane. Da qui l’indispensabile ricorso al cielo. Il ricordo di Santa Bakhita, quindi, è l’occasione per attualizzare l’esemplare figura della schiava sudanese liberata, divenuta religiosa canossiana, canonizzata durante il Grande Giubileo. Un’opportunità per invitare tutti a prendersi cura delle vittime della tratta. È un bene che ora nella Chiesa in tanti si preoccupino delle «persone crocifisse». Risuonano profetiche le parole di don Oreste Benzi che alle “sorelline” sfruttate sulla strada ha dedicato un apposito servizio della Comunità Papa Giovanni XXIII.
*Associazione comunità Papa Giovanni XXIII
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