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L’Europarlamento ha recentemente approvato una discutibile risoluzione, intitolata “La salute e i diritti riproduttivi e sessuali nell’Unione, nel quadro della salute delle donne”, presentata dal deputato croato Pedrag Fred Matic. Il testo ha subito forti critiche per come è stato affrontato il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza. A proposito i vescovi europei, riuniti nella Commissione delle conferenze episcopali Ue, hanno parlato di preoccupanti strappi etici, ritenendo che la risoluzione sia «caratterizzata da una prospettiva unilaterale, soprattutto per la questione dell’aborto, che non tiene pienamente conto delle situazioni di vita delle persone coinvolte e dei loro relativi diritti umani» e «non riflette la tragedia e complessità delle situazioni in cui si trovano le madri che considerano di abortire il proprio figlio non nato». L’aborto viene considerato addirittura come «servizio medico essenziale» rendendo tale intervento una pratica - di fatto - normale. La vita umana, anche quella non ancora nata, possiede una propria dignità e un proprio diritto sin dal concepimento. Sarebbe auspicabile che il Parlamento Europeo, invece di mettersi dalla parte di chi promuove l’aborto, adottasse una risoluzione in cui si stabilisca il diritto di tutte le donne alla continuazione alla gravidanza. È importante sostenere la maternità dando gli aiuti e le protezioni necessarie affinché le mamme accolgano il loro figlio superando ciò che le spingerebbe a scegliere l’aborto, a partire dai problemi economici. L’Europa non può e non deve dimenticarsi dei più indifesi! Ci vorrebbe compattezza; invece, su questo e altri fronti, come la politica estera, c’è un’allarmante divisione. “Siamo calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”. Le parole dell’Inno di Mameli si adattano perfettamente alla cronica assenza di unità. Ogni azione umanitaria e diplomatica dell’Europa risulta costantemente depotenziata dalla frammentazione dei Paesi membri. E così, sullo scacchiere internazionale, il vecchio continente non riesce ad esprimersi con un’unica voce, condannandosi all’irrilevanza. In Libia, in Medio Oriente, in Libano, nel Tigray, nel Sahel e negli altri fronti di crisi in quella che Papa Francesco ha definito la «terza guerra mondiale a pezzi», l’Europa purtroppo non c’è. Nelle sue comunicazioni al Parlamento il premier Mario Draghi si è appellato a Bruxelles per sollecitare la condivisione delle politiche migratorie e l’utilizzo dei corridoi umanitari. In tempi di emergenza sanitaria e di crisi economica, sottrarre ai mercanti di carne umana il turpe business dei viaggi della speranza comporta anche il beneficio di poter monitorare sanitariamente la situazione degli sbarchi. E invece assistiamo al triste spettacolo dei Paesi europei che, invece di fare fronte comune, cercano di trarre egoistico vantaggio dalla ridefinizione degli equilibri geopolitici in Libia.
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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