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La Chiesa continua a interrogarsi sulla preoccupante questione dell’immigrazione, a fronte dei nuovi sbarchi e dei drammi provocati dalla pandemia. Papa Francesco e i membri della presidenza della Comece, la commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea, si sono incontrati nei giorni scorsi in Vaticano proprio per discutere di questi temi. Già nelle settimane precedenti le foto dei bambini morti in un naufragio di migranti nel Mediterraneo e lasciati senza neppure una sepoltura sulla spiaggia libica di Zuwara avevano provocato un’ondata di sdegno nell’opinione pubblica mondiale. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi aveva definito quelle immagini «inaccettabili» e, sulla tematica dell’immigrazione, ha richiamato il Consiglio europeo di Bruxelles ad un «atteggiamento efficace, ma soprattutto umano». Dietro quegli scatti sconvolgenti c’è un generale deterioramento di una civiltà che globalizza l’indifferenza e non concede neppure un gesto di “pietas” alle proprie vittime innocenti. Sempre più persone soffrono, a vari livelli, in una situazione di grave degrado individuale e sociale. Ma se anche l’uomo è capace di grandi malvagità e di errori, il Vangelo ci insegna a restare aperti a grandi speranze, a importanti obiettivi. È la ricerca di infinito, di trascendenza che ci induce a ritrovare la dimensione costitutiva del nostro stesso essere. Da qui possiamo ripartire come credenti e uomini e donne di buona volontà per riaffermare la verità sull’uomo, sulla sua singolarità unica di persona, in possesso di diritti inalienabili. Con la sua incarnazione Cristo è entrato in contatto con ciascuno di noi e ne deriva un rapporto profondo tra il mistero della Redenzione e la dignità dell’individuo. Perciò alla disumanità di una mentalità imperante che calpesta i più deboli, Papa Francesco oppone incessantemente la centralità dei poveri, dei fragili, degli indifesi. Qui sta lo spartiacque di civiltà. L’esercizio della misericordia diventa il criterio di verità della fedeltà al Vangelo, nella comunità primitiva come nella Chiesa di oggi. Ad esempio, difendere la vita dal concepimento al suo termine naturale non può essere materia di negoziato. La categoria della “non negoziabilità” è emersa per la prima volta nel Magistero della Chiesa nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, emanata il 24 novembre del 2002 dalla Congregazione per la dottrina della fede. La Nota era firmata dal cardinale Joseph Ratzinger, nella qualità di prefetto della Congregazione e venne approvata da Giovanni Paolo II. Il cristiano è chiamato «a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili».
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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