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Oggi che finisce, ed era ora, lo stato di emergenza sanitaria e se non si torna, non ancora, alla normalità piena, si compie comunque un passo deciso in quella direzione, oggi che sotto il profilo simbolico è una data spartiacque, tiriamo le somme di questi due anni abbondanti, vediamo quello che ci lasciano in eredità. Vi offro la mia lista, ognuno, se crede, compili la sua. Non ho incluso le atroci sequenze delle bare di Bergamo, indelebili per sempre e per tutti, né il trauma della reclusione: l’ho superato.
Esco dunque dall’emergenza con. 1) La gratitudine illimitata per tutti coloro che si sono spremuti le meningi per studiare un virus nuovo di pacca e approntare rimedi, e ci sono riusciti in tempi brevissimi. Grazie di cuore e buon lavoro. 2) Un pensiero. Di fronte all’errore di un altro, magari di un esperto (tutti ne hanno commessi), il cretino si gonfia come la rana della favola, si sente lui depositario della verità, forte dei suoi studi all’Università della Vita e dei corsi di perfezionamento su Facebook. E sputa sentenze. Viceversa, chi prova a usare quel po’ di materia grigia che ha avuto in dote, dagli sbagli altrui trae spunto per andare a caccia delle falle nei propri ragionamenti. Cercando bene, ne scova almeno alcune e cresce un po’.
3) i dibattiti fra luminari. I miei preferiti, Silvestri e Crisanti. Pronti a difendere le loro idee anche e soprattutto quando non coincidenti con le tesi dominanti. Silvestri aperturista quando i più sostenevano lockdown e coprifuoco.
6) A proposito di guardia alzata, devo togliermi un sassolino aguzzo dalla scarpa. Fra quelli che nell’estate 2020 cantarono vittoria anzitempo non c’era solo Angela da Mondello. C’era il ministro Speranza in persona, l’indefesso dispensator di prediche. Trascorse le ferie a scrivere un libro - autocelebrativo, per quanto ne è filtrato - ritirato in fretta e furia alla vigilia della pubblicazione (settembrina). Come il mitico “Black Album” di Prince. Non mi risulta abbia mai ammesso lo scivolone (per il resto non è stato pessimo, ha fatto il possibile, via). 7) L’analogia Speranza - Prince mi ha portato a riascoltare, dopo millemila anni, “Sign o’ the Times”. Un capolavoro, e perfettamente in tema virale. “In France a skinny man died with a big disease with a little name”: la grave malattia dal nome corto è l’Aids. 8) I libri di David Quammen. Lo definiscono divulgatore scientifico. È riduttivo. È un grande scrittore, punto e basta. “Spillover”, “L’albero intricato”: magnifici, illuminanti. Senza l’emergenza pandemica forse non li avrei mai letti, il virus ha posto Quammen sotto i riflettori.
9) La fiducia nel futuro. Molto accresciuta dopo quel che abbiamo passato, dopo l’inquietante “Spillover”, dopo le dichiarazioni dei virologi che non escludono l’emergere di una variante assai più cattiva di quelle che abbiamo sperimentato. Accresciuta per reazione: a volte essere un bastian contrario offre dei vantaggi. E d’altro canto, campare tremando come le foglie che vita è? 10) Un equilibrato rapporto con la tecnologia. Dopo mesi e mesi di sovraimpiego obbligato, computer e cellulare li utilizzo lo stretto indispensabile. Sono strumenti fantastici, potenziano la vita. Non devono fagocitarla.
* Opinionista e critico cinematografico
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Corriere Adriatico