Le botte social tra ragazzine rivali in amore: ring improvvisati della violenza normalizzata

Le botte social tra ragazzine rivali in amore: ring improvvisati della violenza normalizzata
Hanno rapidamente soddisfatto la voracità visuale del Web le immagini della furibonda lotta tra due ragazzine che a Fabriano si sono picchiate per contendersi un fidanzato....

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Hanno rapidamente soddisfatto la voracità visuale del Web le immagini della furibonda lotta tra due ragazzine che a Fabriano si sono picchiate per contendersi un fidanzato. Non è certo una sorpresa l’abisso di disperazione e di disagio in cui sono sprofondati i nostri adolescenti specialmente dopo la pandemia che, col suo carico di solitudine forzata, ha incancrenito una condizione esistenziale senza via d’uscita, ricalcata sulla loro percezione pubblica sovente costruita in chiave emergenziale. In molti casi i ragazzi non mostrano il coraggio di affrontare la sofferenza diventando vittime di quelli che – per altra forma di disagio, questa volta rimosso – si trasformano in una specie di predatori dei propri coetanei, i c.d.“bulli”, figure oblique di una ammorbante cultura della sopraffazione.

La singolar tenzone tra le due ragazzine è da leggersi dentro il tentativo di primeggiare in una tragica graduatoria del grottesco, oltre la sconfitta del senso e del linguaggio come mediatore simbolico, nel pieno ritorno della vendetta e della violenza come strumenti per dirimere contese. Dopo la tempesta del covid e nella vertiginosa accelerazione sociale che tenta di riallineare le menti ed i cuori ai ritmi disumanizzanti della velocizzazione razionalizzante cui siamo da tempo conformati, un numero sempre più grande di giovani e deboli narcisi dopo l’apnea epidemica torna a desiderare di essere ammirato e visibile. La morte sociale del sentimento della vergogna precipita falangi di dipendenti dal mantra del like a ricercare ammirazione e visibilità sociale a tutti i costi, sempre sul punto di essere stritolati da un sistema che cresce valendosi del principio contro-intuitivo della sostituibilità tecnica degli individui che vivono al suo interno.

L’enfatizzazione dell’individualismo possessivo - che nei giovani spesso è il primo indicatore del proprio, profondo, disagio esistenziale – li agita nell’indebita rivendicazione di doti o diritti di precedenza inesistenti, con la compulsione che dispone di un sé fragile, strattonato dall’ansia di un riconoscimento sociale incondizionato, frutto precoce di violenza e prevaricazione elette a strumento effimero di promozione della propria immagine. La difesa inconscia dal mancato raggiungimento di aspettative irrealistiche che si sono stampate nell’io, fa sprofondare in modo disarmante delle giovani vite nel gorgo senza scampo della disperazione, ma non perchè impossibilitate a replicare modelli di vita buona, ma solo perché venute forzatamente a contatto con la pedagogia del limite, con la resistenza di un ordine e con l’inerzia formale delle istituzioni.

Le fragilità giovanili sono espressione di un mondo che ha eletto due concetti idealtipici come criteri di riferimento del nuovo rapporto individuo/società: stress e resilienza. Si tratta di due termini che la fisica dei materiali ha ceduto alla psicologia ed alla sociologia, con un potente lascito interpretativo che ripropone insistentemente lo squilibrio tra un agente pressorio esterno – la società funzionalmente differenziata – ed una entità umana che deve organizzare le proprie difese nel continuo tentativo di recuperare una distanza incolmabile tra il tutto e la parte. Si potrebbe parlare nuovamente della “sindrome della regina rossa” (L. Carrol), cioè andare sempre più velocemente per restare tristemente inchiodati nello stesso punto (ruolo sociale, identità individuale, auto-percezione deficitaria, ecc.). L’emergenza educativa riconsegnataci dallo scioglimento dei ghiacci pandemici, deve richiamare l’attenzione di tutti sull’inerzia culturale per una questione assolutamente prioritaria del nostro tempo, cioè il disagio giovanile diffuso, da troppo tempo ritenuto scoraggiante prototipo di cattiva infinità e per il quale si sono sempre stabilite deleghe temporanee, senza poter intervenire sulle strutture sociali predisponenti.

In molti sostengono che la fatica di vivere dei giovani risieda nella scarsa consistenza degli adulti, inclini a delegare ad agenzie di socializzazione supplenti il compito di guidare il processo di interiorizzazione delle norme e di identificazione con i valori. E’ necessario prevenire i processi di cronicizzazione delle fragilità e non si comprende come ciò possa avvenire se restiamo legati ad una supina gestione delle emergenze incapace di accorgersi che la vita deve restare una vocazione e non mutarsi in un enigma incomprensibile, come purtroppo accade sempre più spesso con una visione del futuro che da promessa e responsabilità lo vede mutarsi in intollerabile minaccia. Il tema del disagio esistenziale legato all’incertezza sul futuro non è nuovo e precede la pandemia, ma sia la perdurante condizione di incertezza sia la ri-militarizzazione del concetto di sicurezza, hanno fatto da detonatore di precedenti - quanto radicate - aree di fragilità nella condizione giovanile.

Se la pandemia ha penalizzato preadolescenti ed adolescenti, perché ha interrotto in loro lo sviluppo affettivo e psico-sessuale, unitamente alla possibilità di progettare la socialità e le relazioni, le condizioni attuali di ansiotica preoccupazione per il futuro negano ai giovani una serena rappresentazione mentale della loro naturale dimensione temporale di riferimento (specie per i nativi digitali), rendendoli incapaci di percepirsi in una graduale emancipazione dai contesti familiari sui quali gravano preoccupazioni economiche ed occupazionali assai serie. Questa doppia dimensione emergenziale ha disabilitato la speranza in tantissime persone giovani e rischia di spegnere i sogni di una intera generazione, consegnando spesso il destino di una esistenza ad atti occasionali, violenze gratuite e ridicoli - quanto criminali – passaggi all’azione.

 

* Sociologo della devianza e del mutamento sociale

 

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Corriere Adriatico