Il passaggio generazionale di cui abbiamo bisogno

Il passaggio generazionale di cui abbiamo bisogno
Sul Corriere Adriatico di venerdì scorso Maria Teresa Bianciardi e Martina Marinangeli hanno dedicato un interessante approfondimento al tema del passaggio generazionale...

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Sul Corriere Adriatico di venerdì scorso Maria Teresa Bianciardi e Martina Marinangeli hanno dedicato un interessante approfondimento al tema del passaggio generazionale nelle imprese. Un tema che interessa un numero considerevole di imprese marchigiane, nella quasi totalità a proprietà e gestione familiare, molte delle quali ancora nelle mani del fondatore.

Come ricordato nell’articolo il passaggio generazionale può rivelarsi problematico per la continuità dell’impresa soprattutto quando a passare il testimone è il fondatore. I problemi associati al passaggio generazionale sarebbero decisamente meno rilevanti se il passaggio riguardasse, come per un normale bene, la sola proprietà. Nelle nostre imprese si assume invece che essa debba riguardare anche i ruoli chiavi della gestione. Ruoli per i quali occorrono specifiche competenze e attitudini, non necessariamente possedute dagli eredi; o che potrebbero semplicemente non essere interessati a ricoprire tali ruoli. Come sottolinea Pierluigi Bocchini nell’intervista di approfondimento, le problematiche del passaggio generazionale possono essere mitigate da una più attenta valutazione degli interessi e delle competenze di chi deve subentrare, ma anche da una più chiara separazione fra la proprietà e la gestione ed una maggiore managerializzazione delle imprese, in modo da evitare l’accentramento delle responsabilità gestionali.

Prescindendo dal comprensibile interesse delle famiglie e degli imprenditori che si trovano o si troveranno ad affrontare il tema del passaggio generazionale ci si può chiedere fino a che punto il tema rileva anche per la collettività. Naturalmente vi è un interesse generale alle condizioni che determinano l’efficienza e la salute delle imprese. Non necessariamente lo stesso interesse riguarda le singole imprese. Il continuo ricambio delle imprese, determinato dai processi di cessazione e avvio, è del tutto fisiologico in un’economia di mercato ed ha in generale effetti benefici. Le nuove imprese possono essere portatrici di innovazione e consentono a nuovi imprenditori di sperimentare le proprie capacità.

Anche quando non introducono innovazioni le nuove imprese cercano di farsi spazio nel mercato esercitando una salutare competizione verso le imprese già presenti sul mercato. Per questo andrebbero facilitati processi di entrata; ancora limitati in molti settori nel nostro paese con conseguente inaccettabile protezione di situazioni di rendita. Nei settori in cui l’entrata è libera, come gran parte delle attività manifatturiere, il turn-over delle imprese è notevole; anche vicino al 10% all’anno. Potremmo quindi non preoccuparci delle crisi aziendali determinate dal passaggio generazionale poiché lo spazio lasciato da un’impresa che cessa sarà rapidamente occupato da altre che entrano. Oppure possiamo immaginare che l’impresa sia ceduta ad altri imprenditori o gruppi in grado di assicurarne continuità e sviluppo. In effetti il problema chiave del passaggio generazionale è quello della continuità, rilevante nel caso in cui l’impresa ha sviluppato degli asset specifici frutto di investimenti consistenti e continui nel tempo.

Alcuni di questi asset, come ad esempio un marchio, possono essere facilmente ceduti e valorizzati. Altri, come le competenze organizzative e del personale, potrebbero essere dispersi o non adeguatamente valorizzati in caso di crisi. E’ un tema che riguarda soprattutto le imprese di media e grande dimensione per le quali vi è un maggiore interesse della collettività a garantirne la continuità. Le imprese sono costruzioni sociali e culturali particolarmente complesse per le quali non vi sono ricette semplici e valide in tutti i contesti. Nel caso italiano (e marchigiano) la direzione verso cui andare è quella indicata da Pierluigi Bocchini: una più chiara separazione fra proprietà e gestione, anche attraverso l’apertura del capitale e la quotazione in borsa, ed una maggiore managerializzazione che implica una maggiore strutturazione organizzativa e maggiori deleghe nei processi decisionali. Ne abbiamo un recente esempio nella ristrutturazione della governance della società I.M.E.S.A., commentata ieri su questo giornale da Andrea Taffi.

 

* Docente di Economia  alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni

 

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Corriere Adriatico