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La Grande Barriera Corallina australiana sta vivendo proprio in questi giorni uno dei peggiori eventi di sbiancamento mai registrati negli ultimi quattro decenni, ovvero da quando è iniziato il monitoraggio delle acque marine. Il tutto è cominciato nel settembre del 2023, l’anno che ha battuto tutti i record storici in termini di temperature del pianeta e degli oceani. Il forte riscaldamento delle temperature oceaniche in Australia è legato alla comparsa del fenomeno detto El Niño. Si tratta di un forte riscaldamento delle acque superficiali che verso la fine dell’anno scorso si sono spinte dall’Asia verso l’America provocando una serie di effetti a cascata. Il termine spagnolo El Niño sta per “Il Bambino” che nella cultura latino-americana era il bambin Gesù, perché questo evento si manifestava in tardo dicembre vicino al Natale, quando le acque calde e con poco ossigeno obbligavano i pesci boccheggianti a saltare fuori dall’acqua, facendoli spiaggiare. I bambini allora correvano per le spiagge a raccogliere i pesci ancora saltellanti, frutto del dono della nascita del Signore. Ebbene, questo fenomeno noto da decenni, prima si verificava ogni 8-10 anni ma negli ultimi tempi si è fatto sempre più frequente e intenso.
A farne le spese sono in primo luogo i coralli, che essendo ancorati al fondo non possono sfuggire alle acque super-calde portate da El Niño. Oggi gran parte della famosa barriera corallina mostra chiari segni di sbiancamento che si verifica quando i coralli stressati dal calore eccessivo espellono le alghe che vivono dentro di loro e che sono responsabili delle loro bellissime colorazioni.
Senza coralli perdono il cibo di cui hanno bisogno e gli habitat per proteggere i loro piccoli. Le barriere, una volta morte, diventano terreno di conquista per le alghe e molti organismi patogeni. Insomma, va tutto a rotoli e con loro si perde il capitale naturale che costituisce la vera ricchezza delle popolazioni locali. Nel parco marino della Grande Barriera Corallina, il 73% delle barriere coralline esaminate dal Noaa, l’agenzia americana per lo studio degli oceani e dell’atmosfera, presenta già uno sbiancamento superiore al 10%. Il passaggio da scogliera colorata a distesa bianca si può misurare facilmente. Oggi l’utilizzo dei satelliti ci permette di studiare come mai prima lo stato di salute di questi ecosistemi, che essendo molto superficiali e colorati si prestano bene ad analisi di cambiamento del colore. Sono state quindi esaminate in totale 1.080 barriere coralline. Tra queste, il 79% ha mostrato segni di sbiancamento dei coralli. E circa il 49% di tutte le barriere coralline esaminate sta mostrando elevatissimi livelli di sbiancamento.
Quello che preoccupa i ricercatori non è solo il forte danno dovuto allo sbiancamento ma la frequenza con cui avvengono questi fenomeni. Una scogliera corallina, infatti, dopo aver subito uno sbiancamento cerca di recuperare, ma per farlo servono anni e in alcuni casi non ci riesce. Tuttavia, se la frequenza di questi fenomeni è troppo elevata, diciamo ogni tre-cinque anni, le scogliere tropicali non riescono a recuperare tra uno sbiancamento e un altro, con il rischio di perdere definitivamente la possibilità di rigenerarsi. E in Mediterraneo? In natura, e ancor più nei mari, tutto è collegato. Il caldo sta lasciando l’emisfero australe per spostarsi sulla nostra estate. La paura è che un anno caldo come il 2023, o peggiore ancora, potrebbe determinare anche nell’estate 2024 fenomeni di mortalità massiva della fauna marina, analoghi allo sbiancamento della barriera australiana ma a farne le spese saranno le foreste algali e il nostro coralligeno, là dove gorgonie e corallo rosso creano strutture che poco hanno da invidiare alle barriere coralline.
*Professore ordinario
all’Università Politecnica delle Marche, titolare dei corsi di Biologia Marina, Ecologia
ed Etica ambientale
Corriere Adriatico