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La scorsa settimana la società Alitalia ha effettuato l’ultimo volo e il marchio Alitalia è stato ceduto alla nuova società Ita. La vicenda Alitalia non può però considerarsi conclusa dal momento che Ita ha assorbito una quota minoritaria dei dipendenti della vecchia società; ne rimangono oltre 7.000 per i quali il futuro è incerto, anche a causa della situazione non certo brillante in cui versa il mercato interno e internazionale del trasporto aereo. Sulla vicenda Alitalia molto è stato scritto in considerazione dell’eccezionale entità di risorse pubbliche che sono state utilizzate nel tentativo di garantire la sopravvivenza della società. Uno studio di Mediobanca aveva stimato in 7,6 miliardi di euro la cifra che lo stato italiano aveva speso in Alitalia fra il 1974 e il 2014. Una spesa che è lievitata negli anni successivi e che il Sole 24Ore stima in totale in oltre 12,5 miliardi di euro. Ciò che impressiona di questa vicenda non è solo l’entità delle risorse pubbliche utilizzate quanto il fatto che non sono stati raggiunti gli obiettivi che con tali risorse si ipotizzava di raggiungere. Alitalia ha perso continuamente quote sul mercato nazionale e internazionale; la nuova società Ita riparte con una flotta dimezzata rispetto a quella già ampiamente ridotta della società commissariata; gran parte dei dipendenti sono davanti a prospettive future incerte. Per queste ragioni la vicenda Alitalia è additata ad esempio delle cattive pratiche di gestione delle imprese pubbliche nel nostro paese ed è considerata il caso emblematico di come non si dovrebbero affrontare le crisi delle grandi imprese. Negli scorsi decenni il mercato del trasporto aereo passeggeri è cresciuto a ritmi considerevoli. Se non ci si fosse accaniti nel tentativo di tenere in piedi la vecchia società i dipendenti Alitalia avrebbero trovato possibilità di ricollocarsi in altre società del settore più efficienti, anche se probabilmente non alle condizioni di relativo privilegio di cui godevano in Alitalia. La crisi di Alitalia è il risultato di scelte effettuate dal top management e dai governi italiani nel corso del tempo; scelte (o non scelte) che si sono rivelate errate e in qualche caso disastrose. Fra queste la decisione di rinunciare alla possibilità di accordo con Klm o la mancata vendita ad Air France. Vi è però una ragione più profonda della crisi di Alitalia e delle difficoltà ad uscirne. Per molti decenni ad Alitalia è stata assicurata una posizione di monopolio sul mercato italiano. Anche a causa di questa condizione di privilegio di cui la compagnia ha goduto sul mercato domestico (e sulle rotte da e per l’Italia) Alitalia non è stata in grado di reagire con prontezza alla progressiva liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, che ha elevato in modo considerevole la concorrenza e richiesto livelli di produttività e di efficienza a cui Alitalia non è stata in grado di rispondere, preferendo la difesa della propria situazione di privilegio.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni
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Corriere Adriatico