Emergenza taxi, più siamo meglio stiamo. Per i tassiti? No, per chi li aspetta

Emergenza taxi, più siamo meglio stiamo. Per i tassiti? No, per chi li aspetta
Ma lei alle Poste non fa la coda?». La domanda a bruciapelo è la prima di una raffica: «E alla cassa del supermercato? Dal pizzicagnolo? E in banca, se ci va...

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Ma lei alle Poste non fa la coda?». La domanda a bruciapelo è la prima di una raffica: «E alla cassa del supermercato? Dal pizzicagnolo? E in banca, se ci va ancora?».

Con un sillogismo perfetto il taxista mi chiede: «Perché tante storie se ci si mette in coda per aspettare un taxi?». Per un poco ho temuto che il mio conducente si avventurasse in una etimologia – per alcuni plausibile – che riconduce l’origine del vocabolo internazionale, taxi, al greco taxis, che vuol dire ordine, fila, appunto. Io ero fermo alla famiglia Thurn und Taxis, che di fatto inventarono il sistema postale in Europa, utilizzando vetture di trasporto e distribuzione di pacchi e missive. La meditazione era iniziata in largo di Torre Argentina, dove non avevo mai atteso un taxi, da quando sono a Roma – ormai quasi quindici anni – e dove invece il pensiero dopo aver sostato sull’area sacra e sulla morte di Cesare, mi aveva condotto a una riflessione sul senso della parola di cui attendevo la materializzazione da venti minuti: taxi. Dall’etimologia al senso della vita il passo è breve, quando l’attesa si fa lunga. Cercare un taxi al telefono è ormai un esercizio da fachiro. Usare le app? Una favola bella, “che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione”. E non a caso il vate evocava, anticipando, il nome della compagna del maghetto Harry Potter. Solo di una bacchetta magica ci sarebbe bisogno per trovare un taxi a Roma, da mesi. Lamentarsi del turismo, sarebbe come imitare liguri e sardi che di fronte ai “foresti” (milanesi e torinesi per lo più) usurpatori di territorio e ossigeno erigono barriere ostili di mugugni e mufloni. I romani per fortuna non sono così. Sono abituati da millenni a vedere barbari e saccheggi. La loro insistenza a non aumentare le 7800 licenze di taxi nella Capitale non deriva da una sorta di ostracismo mascherato, ma da un senso degli affari che non è evoluto con lo spirito del servizio pubblico. Il mio taxista centellina il suo buon senso: «Se fossimo di più, a gennaio e febbraio saremmo troppi». Già. Ma i servizi (non solo quelli pubblici) si tarano sullo stress alto, devono prevedere ridondanza. Sennò che servizi sono? «Più siamo, meglio stiamo» è un ritornello che ho imparato a Roma. Ma non riguarda i taxisti, ma i clienti in attesa.

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Corriere Adriatico