ANCONA - Pesa non meno di 6 miliardi sul Pil annuo regionale il gap infrastrutturale delle Marche. Una cifra choccante, che il presidente della Fondazione Marche, Mario Pesaresi,...
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«Da isola felice, oggetto di studio delle principali università del mondo» a una crisi che ha spinto la regione lontano dalle locomotive dell’Italia, una regressione evidente anche se si guarda solo al Centro Italia. In mezzo ci sono almeno vent’anni di storia e dieci anni di criticità più acute, che hanno colpito duro, riassunte da Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Marche: «La crisi più lunga del dopoguerra, l’impatto del sisma e la riorganizzazione del sistema creditizio regionale, a seguito della crisi di Banca Marche».
Che l’aumento dell’efficienza pubblica e della qualità delle infrastrutture possano avere un impatto positivo sulla produttività del settore privato è fatto noto, ma vederlo tradurre in numeri da Carlo Cottarelli, «sia pure in condizioni ipotetiche», è stato choccante. «Se l’efficienza della PA marchigiana fosse pari a quella dell’Emilia Romagna – ha spiegato il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani -, il settore privato potrebbe beneficiare di una crescita della produttività più elevata del 7-9%». Che diventerebbero 12-16 punti percentuali se il termine di paragone fosse la Lombardia. «Un processo lungo e difficile», ha chiosato il prof, sottolineando che «per raggiungere l’Emilia Romagna servirebbe, ad esempio, un dimezzamento dei tempi della giustizia civile». Ma anche quelli che sono da sempre ritenuti i punti di forza, agli occhi di chi guarda alle Marche da fuori, diventano debolezze e persino criticità.
Se ne è fatto portavoce il capo economista di Confindustria, Andrea Montanino: «Limitata diversificazione produttiva, a dispetto dell’alta specializzazione, scarsa presenza sulle filiere internazionali, produttività troppo bassa per competere a livello globale, indietro rispetto ai suoi pari dell’Ue28 sulla dimensione dei fondamentali, a cominciare dalle istituzioni, su quella dell’efficienza (istruzione terziaria e formazione continua, efficienza del mercato del lavoro; ndr.) e su quella dell’innovazione”. Un terreno reso ancora più fragile da «una rete di trasporti carente, sotto la media europea in tutte le modalità di trasporto» e «con un gap maggiore rispetto ad altre regioni italiane ed europee» legato alle infrastrutture aeroportuali.
Lo scenario è noto e ribadito pochi giorni fa dall’Osservatorio annuale della Fondazione Merloni, che parla di «un affievolimento dello spirito imprenditoriale», che secondo Francesco Merloni è «forse anche frutto di altre dinamiche come l’evoluzione demografica, i cambi generazionali o, più semplicemente, l’appagamento per i successi del passato». Ciò nonostante, le Marche mantengono una forte connotazione manifatturiera tra le più alte d’Italia e una forte vocazione all’export (quello dei prodotti manifatturieri vale oltre il 90% del totale regionale).
Paradossalmente, le risposte sulle leve da applicare perché la manifattura regionale torni a crescere erano già scritte, nere su bianco, sul titolo dell’evento voluto da Confindustria Marche, Fondazione Merloni e Fondazione Marche: infrastrutture e nuove tecnologie. «Porre al centro la manifattura in un’ottica di filiera vocata all’innovazione – ha riassunto il responsabile scientifico di Nomisma, Lucio Poma -, trovando una sintesi tra le traiettorie delle imprese leader e il sistema produttivo diffuso». «Agire e farlo in fretta – ha chiuso il cerchio Mario Pesaresi, vicepresidente della Fondazione Marche -. I fattori critici vanno affrontati in modo più determinato e veloce rispetto al passato». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico