Cottarelli, schiaffo alle Marche ferme: «Il ritardo vi costa sei miliardi all’anno»

Le bordate di Carlo Cottarelli
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ANCONA - Pesa non meno di 6 miliardi sul Pil annuo regionale il gap infrastrutturale delle Marche. Una cifra choccante, che il presidente della Fondazione Marche, Mario Pesaresi, non vede l’ora di lanciare con enfasi di fronte ai direttori dei più autorevoli centri studi italiani, che hanno messo a nudo tutti i nodi critici e segnalato tutte le leve capaci di ridare slancio a un sistema produttivo che frena. Una sorta di ultimo tentativo, «prima di pensare a dolorosi processi di diversificazione». Parole di Francesco Merloni.


«Da isola felice, oggetto di studio delle principali università del mondo» a una crisi che ha spinto la regione lontano dalle locomotive dell’Italia, una regressione evidente anche se si guarda solo al Centro Italia. In mezzo ci sono almeno vent’anni di storia e dieci anni di criticità più acute, che hanno colpito duro, riassunte da Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Marche: «La crisi più lunga del dopoguerra, l’impatto del sisma e la riorganizzazione del sistema creditizio regionale, a seguito della crisi di Banca Marche».

Che l’aumento dell’efficienza pubblica e della qualità delle infrastrutture possano avere un impatto positivo sulla produttività del settore privato è fatto noto, ma vederlo tradurre in numeri da Carlo Cottarelli, «sia pure in condizioni ipotetiche», è stato choccante. «Se l’efficienza della PA marchigiana fosse pari a quella dell’Emilia Romagna – ha spiegato il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani -, il settore privato potrebbe beneficiare di una crescita della produttività più elevata del 7-9%». Che diventerebbero 12-16 punti percentuali se il termine di paragone fosse la Lombardia. «Un processo lungo e difficile», ha chiosato il prof, sottolineando che «per raggiungere l’Emilia Romagna servirebbe, ad esempio, un dimezzamento dei tempi della giustizia civile». Ma anche quelli che sono da sempre ritenuti i punti di forza, agli occhi di chi guarda alle Marche da fuori, diventano debolezze e persino criticità. 

Se ne è fatto portavoce il capo economista di Confindustria, Andrea Montanino: «Limitata diversificazione produttiva, a dispetto dell’alta specializzazione, scarsa presenza sulle filiere internazionali, produttività troppo bassa per competere a livello globale, indietro rispetto ai suoi pari dell’Ue28 sulla dimensione dei fondamentali, a cominciare dalle istituzioni, su quella dell’efficienza (istruzione terziaria e formazione continua, efficienza del mercato del lavoro; ndr.) e su quella dell’innovazione”. Un terreno reso ancora più fragile da «una rete di trasporti carente, sotto la media europea in tutte le modalità di trasporto» e «con un gap maggiore rispetto ad altre regioni italiane ed europee» legato alle infrastrutture aeroportuali.

Lo scenario è noto e ribadito pochi giorni fa dall’Osservatorio annuale della Fondazione Merloni, che parla di «un affievolimento dello spirito imprenditoriale», che secondo Francesco Merloni è «forse anche frutto di altre dinamiche come l’evoluzione demografica, i cambi generazionali o, più semplicemente, l’appagamento per i successi del passato». Ciò nonostante, le Marche mantengono una forte connotazione manifatturiera tra le più alte d’Italia e una forte vocazione all’export (quello dei prodotti manifatturieri vale oltre il 90% del totale regionale).


Paradossalmente, le risposte sulle leve da applicare perché la manifattura regionale torni a crescere erano già scritte, nere su bianco, sul titolo dell’evento voluto da Confindustria Marche, Fondazione Merloni e Fondazione Marche: infrastrutture e nuove tecnologie. «Porre al centro la manifattura in un’ottica di filiera vocata all’innovazione – ha riassunto il responsabile scientifico di Nomisma, Lucio Poma -, trovando una sintesi tra le traiettorie delle imprese leader e il sistema produttivo diffuso». «Agire e farlo in fretta – ha chiuso il cerchio Mario Pesaresi, vicepresidente della Fondazione Marche -. I fattori critici vanno affrontati in modo più determinato e veloce rispetto al passato». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico