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Conoscendo il passato da “duro e puro” dell’economia di Jens Weidmann, non deve essere stato facile per lui rassegnare le dimissioni da presidente della Bundesbank proprio nel momento in cui la Ue ha stabilito di fare ripartire l’economia comunitaria con uno stimolo economico senza precedenti.
Mai come ora il suo destino appare legato a quello di Angela Merkel che l’aveva voluto fortemente prima come consigliere – dal 2006 al 2011 si occupava soprattutto delle strategie da presentare ai summit G20 – e poi come presidente della Buba. È facile sostenere che Weidmann, considerato un “falco” irriducibile e nemico di Mario Draghi fin dal tempo del whatever it takes, avrebbe opposto il petto a una scelta economica che sicuramente considera sciagurata: 1.824 miliardi molti dei quali finiranno nelle mani dei Paesi, come l’Italia, ritenuti inaffidabili secondo l’incrollabile teoria dell’austerità economica di cui la Germania è la prima sostenitrice. In realtà questa era una visione forse corretta nel periodo della crisi finanziaria post Lehman Brothers e degli interventi della Troika nella crisi greca, ma si stempera se consideriamo il periodo conseguente alla crisi economica dovuta alla pandemia, con l’accordo del maggio 2020 fra Merkel e Macron per sostenere il Recovery Fund dei 750 miliardi e le azioni successive. Sicuramente è facile comprendere che le dimissioni per motivi personali, questa almeno è la motivazione ufficiale proposta da Weidmann, siano conseguenti alla fine del cancellierato di “mein Mädchen”, come la chiamava il suo mentore Helmut Kohl, e quindi di un indebolimento del ruolo del potente economista. Forse, parafrasando il celebre epiteto di cui sopra, Weidmann per la Merkel era il “mein Junge”, colui insomma che teneva la barra della banca centrale nella direzione voluta dalla cancelliera.
LE REGOLE DEL DEBITO
Senza contare che il nuovo esecutivo dovrà fare i conti anche con le regole del debito, che si rifletteranno su un’inevitabile revisione del Patto di Stabilità e sulla politica dei trasferimenti, senza dimenticare le spinte attuali inflazionistiche e le possibili ricadute sulla politica dei tassi della Bce. A questa esigenza, prova che si è fatta incerta la distinzione tra “falchi” e “colombe”, si è già “convertito” uno dei santoni dell’ordoliberalismo tedesco, Klaus Regling, direttore del Meccanismo europeo di stabilità, l’ormai celebre Mes: propone un Patto di Stabilità che permette di rivedere la soglia del debito dal 60 al 100% del Pil. È in tutto e per tutto un allentamento ragionato che beneficia i Paesi come l’Italia. Alla nuova coalizione servirà che Scholz dimostri di essere un cancelliere all’altezza della tradizione tedesca per mantenere in equilibrio le posizioni di verdi e liberali e qualche bandiera ideale dovrà essere ammainata, soprattutto dai Grune. Un’ultima suggestione riguarda ancora Jens Weidmann e il suo essere un risultato del sincretismo tedesco, il quale ha bisogno di aggiornare la sua definizione. Un processo che, insieme alla riorganizzazione dei popolari europei, i cui partiti di riferimento stanno vivendo momenti di crisi un po’ dappertutto, coinvolge in primo luogo i cristiano democratici tedeschi che hanno di fronte l’insuccesso elettorale di Laschet e un inevitabile cambio di leadership. E se la casella del leader post Merkel fosse riempita proprio da un ex banchiere centrale tedesco dimissionario di 53 anni? Le voci in questo senso si stanno rincorrendo: oltre a una sua possibile promozione a capo dell’Fmi, le dimissioni da presidente della Buba potrebbero essere il passo inevitabile per una sua discesa in campo. Per il dopo Merkel il banchiere della Merkel?
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