Province, alla Camera il primo sì all'abolizione

Province, alla Camera il primo sì all'abolizione
ROMA - L’operazione ha tutto il sapore di un piccolo ma gradito regalo di Natale agli italiani sul delicatissimo fronte dei costi della politica. Comunque lo si voglia...

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ROMA - L’operazione ha tutto il sapore di un piccolo ma gradito regalo di Natale agli italiani sul delicatissimo fronte dei costi della politica. Comunque lo si voglia giudicare, il via libera prenatalizio della Camera - 277 sì, 11 no con Forza Italia, Lega e Cinquestelle che non hanno votato per protesta - al disegno di legge che abolisce (o, meglio, riforma) le Province addolcisce il clima intorno all’esecutivo, pesantemente preso negli ultimi giorni nella tenaglia del dinamismo renziano e delle pesanti critiche della Confindustria. Ma non è stato un passaggio facile. Le opposizioni hanno fatto un duro ostruzionismo, con urla e ripetute interruzioni dei lavori dell’aula.


Si tratta comunque di un primo passo. Ora la parola passa al Senato. Ma Letta, che ha fatto dell’abolizione delle Province un punto d’onore programmatico, indubbiamente segna un punto politico a proprio vantaggio anche se gli effetti concreti della riforma Delrio, molto complessa, si potranno giudicare solo fra un paio d’anni. Tanto è importante per l’esecutivo questo impegno, che il governo ha inserito a sorpresa nella Legge di Stabilità (approvata l’altro ieri ma se n’è avuto notizia ieri) un codicillo che commissaria le 52 amministrazioni provinciali il cui mandato elettorale scade il prossimo maggio. I 52 enti si aggiungono ai 20 - tra i quali Roma - già commissariati.

Le Province si sono arrabbiate come mai. «Faremo ricorso - ha detto il presidente dell’Upi Antonio Saitta - Mai un governo ha osato mettere in dubbio la possibilità per il popolo di eleggere chi governa il territorio». Ma il messaggio dell’esecutivo è chiaro: in Italia non si faranno mai più elezioni popolari per le Province anche se il Senato dovesse rallentare il varo definitivo della riforma Delrio.

Riforma che si basa proprio su questo pilastro: l’eliminazione della classe politica provinciale composta da circa 3.000 presidenti, assessori e consiglieri. Le future Province, con compiti limitati alla manutenzione delle strade e poco più, saranno guidate da presidenti eletti (nel novembre 2014) dai sindaci dei comuni del territorio provinciale.
POCHI RISPARMI

I risparmi certi, per onestà intellettuale bisogna dirlo, sono modestissimi rispetto agli 800 miliardi di spesa pubblica: nel 2010 i politici provinciali sono costati agli italiani circa 135 milioni. Nel 2013, dopo la cura dimagrante degli ultimi anni, la politica provinciale è costata solo 32 milioni (dati Upi). Sugli effetti della riforma esistono opinioni molto diverse. Secondo il ministro degli Affari Regionali, Graziano Delrio, si raggiungerà il miliardo a regime. La Corte dei Conti ha sostenuto di non poter fare alcuna cifra.


Per il resto, la riforma è complicata. Prevede il graduale passaggio di alcune competenze a Comuni (edilizia scolastica) e Regioni (centri per l’impiego). Ma non fissa tempi certissimi. Fissa invece la nascita delle Città Metropolitane ovvero di enti che dovranno coordinare il territorio intorno alle grandi città. Peccato che in Parlamento le Città Metropolitane siano state indicate per territori superiori al milione di abitanti. E’ possibile pertanto che in Italia si moltiplicheranno.

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Corriere Adriatico