TRIESTE - L’amore per il caffè (e il fatto di berne pochi o tanti al giorno) è genetico. Lo conferma uno studio condotto dall’IRCCS Burlo Garofolo...
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L’attuale studio segue il precedente lavoro dei ricercatori, che avevano identificato i geni collegati all’abitudine di bere caffè, e avevano studiato i meccanismi biologici del metabolismo della caffeina. «Il caffè – spiega il prof. Paolo Gasparini – è una delle bevande più consumate al mondo e una delle fonti primarie di assunzione di caffeina. Gli studi che stiamo effettuando sono collegati al ruolo del caffè nell’economia e per la salute delle persone: abbiamo iniziato a comprendere meccanismi chiave, ma molto c’è ancora da fare. Il nostro metodo di studio ha permesso di evidenziare le correlazioni tra genetica e caffè, e vi sono ulteriori elementi da approfondire». La prima fase della ricerca è stata realizzata in Italia, analizzando il codice genetico di circa 1200 persone, il 75% delle quali residenti in sei città del Nord Est, il restante in Puglia.
Ogni persona è stata sottoposta all’analisi del codice genetico e a un questionario relativo alle precise abitudini di assunzione del caffè. I risultati ottenuti in Italia hanno confermato che le persone il cui codice genetico presentava una variazione del gene PDSS2 bevevano mediamente una tazza in meno di caffè al giorno. Lo studio è stato ripetuto utilizzando un gruppo di controllo composto da un campione di cittadini olandesi: i ricercatori hanno ottenuto lo stesso risultato, confermato la correlazione tra la variazione del gene PDSS2 con le abitudini di assunzione di caffè, rilevando tuttavia una diversa variabilità in numero di tazze assunte, legata alla diversa concentrazione della caffeina nel caffè olandese rispetto a quello italiano.
Lo studio è stato effettuato per buona parte a Trieste, all’IRCCS Burlo Garofolo, grazie anche alla collaborazione di carattere tecnico e operativo dell’azienda illy. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico