Muta dalla notte del terremoto di Amatrice Serena, 15 anni, ritorna a parlare

Muta dalla notte del terremoto: Serena, 15 anni, torna a parlare. «Merito di un tema a scuola»
Non parlava da quella notte del 24 agosto 2016, quando il terremoto ad Amatrice uccise quasi 300 persone: Serena D'Amico, 15 anni, ha finalmente rotto il silenzio, proprio...

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Non parlava da quella notte del 24 agosto 2016, quando il terremoto ad Amatrice uccise quasi 300 persone: Serena D'Amico, 15 anni, ha finalmente rotto il silenzio, proprio quando si pensava che non sarebbe più riuscita a guarire, e lo ha fatto grazie alla stesura di un tema. Un piccolo miracolo, come racconta il quotidiano Il Messaggero: il dolore, lo schock e il destino le avevano soffocato la voce per giorni, settimane, mesi, fino a quel foglio di carta che le ha regalato di nuovo la vita.


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La sua professoressa di italiano, storia e geografia, Maria Flavia Perotti, aveva sempre sperato in una sua guarigione: «Succedeva sempre nell’ora di geografia. Tra gli argomenti c’era anche il tema del terremoto: quando intuiva che potessi parlare dell’argomento, Serena si alzava e senza dire nulla usciva dalla classe. Non ho mai provato a fermarla», racconta. Ma lo scorso 6 dicembre, nel compito in classe con traccia Inventa un racconto a piacere, Serena ha deciso che il silenzio poteva finire: in quel tema parlò di sua nonna, «la persona più importante al mondo», rimasta anche lei sotto le macerie della sua palazzina a tre piani.



IL TEMA STRAZIANTE «Il 24 agosto è un giorno che ricorderò per il resto della vita. A volte un oggetto che ho davanti, o magari una persona, mi riportano a quel giorno», scriveva Serena. «Rientrai attorno alle 23.45. Ero contenta davvero: mi stavo preparando i vestiti per il giorno dopo, quando ci sarebbe stata la fiera del paese. Mi addormentai con il sorriso e poi successe tutto troppo velocemente. Venni svegliata da un forte movimento sussultorio che mi sovrastava, accompagnato da un rumore assordante, come se un mostro mi stesse urlando nelle orecchie».

«Ero rimasta immobile, paralizzata. Non sapevo cosa fare, vidi solo le figure di mio fratello e mia madre che mi strattonavano, cercando di portarmi fuori casa. Le persone intorno a me urlavano e piangevano. Il mio volto era impassibile: sembravo un fantasma, il cuore ancora a mille. Salimmo in macchina per andare al centro del paese ed è lì che il mondo mi crollò addosso». Poi il tragico ricordo di quanto accaduto alla nonna: «Il palazzo di mia nonna di tre piani era diventato un cumulo di macerie di due metri. Non ci credevo, non volevo crederci e tutt’ora non ci credo. Se la sera prima avessi saputo che l’avrei abbracciata per l’ultima volta, giuro che l’avrei stretta più forte e sarei rimasta con lei». 


E ancora: «È una persona forte che si è sempre sacrificata per il bene della famiglia: per me è una seconda mamma. Utilizzo i tempi al presente perché lei non merita di essere ricordata al passato. Io non accetterò mai che se ne sia andata così, senza salutare. Ne parlo ogni giorno e ho la certezza che lei è con me sempre, anche adesso che sto scrivendo questo». ​La professoressa racconta: «Dopo quel tema Serena si è sbloccata prendendo parte alle lezioni. Ha iniziato a raccontare della sua vita ad Amatrice, di com’era prima del terremoto e così via. Il tema ha segnato una sorta di rinascita alla vita per la ragazza». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico