SALERNO - Quando si tratta di trasfusioni, tutto il personale sanitario - che assiste il paziente che riceve le sacche ematiche - ha il dovere di controllare che il sangue...
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Al primo si contestava di aver «innescato il processo di utilizzazione di sacche ematiche destinate ad altro paziente e invece consegnate ad un infermiere per un paziente con gruppo incompatibile». In pratica, a Gerardo F. ricoverato per la riprotesizzazione dell'anca, arrivò il sangue sbagliato e quando i medici videro che peggiorava ordinarono che si continuasse con la trasfusione causandone la morte, il due luglio del 2009. Al capezzale dello sventurato arrivarono anche un anestesista e un altro ortopedico e anche loro - la cui posizione è stata dichiarata prescritta - omisero di controllare le caratteristiche delle sacche trasfuse e la loro compatibilità con il paziente.
«La cooperazione tra più sanitari, ancorché non svolta contestualmente, impone ad ogni sanitario oltre che il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, l'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa», afferma la sentenza 50038 depositata dalla Quarta sezione penale che si occupa di colpa medica. Dunque anche se l'errore viene commesso 'a montè di una procedura di trasfusione, tutti i camici bianchi e i tecnici rispondono, nel processo, di «colpa specifica consistita nella violazione delle linee guida raccomandate dal Ministero della Salute ai fini della prevenzione della reazione trasfusionale da incompatibilità 'Abo' e adottate, altresì, nell'ambito dello specifico protocollo per la prevenzione degli errori trasfusionali», scrive la Suprema Corte. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico