Aveva solo nove anni allora, quando nel 2011 a Sulmona iniziò un incubo durato quasi due anni. Due anni di attenzioni morbose, di avance, baci rubati, consigli e atti...
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Una testimonianza durata diverse ore e nella quale la ragazza avrebbe confermato punto per punto quanto aveva denunciato alla polizia di Sulmona cinque anni fa, dopo un lungo travaglio interiore e dopo essersi alla fine decisa a raccontare ai genitori le morbose attenzioni che quel signore più che adulto «che sembrava buono, e che buono invece non lo è» aveva avuto per tutto quel tempo nei suoi confronti. Secondo le accuse l’uomo l’avrebbe baciata sulle labbra più volte e annusata nelle parti intime, le avrebbe raccontato barzellette spinte dicendole di «fargliele vedere reali», la avrebbe raggiunta in camera, mentre i genitori erano in cucina, per abbracciarla e baciarla, si sarebbe toccato al telefono e le avrebbe spiegato nei particolari come avrebbe dovuto farlo lei, pensando a lui. E poi la ricarica telefonica come regalo e l’intimazione a stare zitta, a non raccontare niente a nessuno.
Per due anni, quella bambina, avrebbe abbozzato e restata in silenzio, fino a rompere gli indugi e denunciare quell’amico di famiglia che amico non era. La famiglia della ragazza si è costituita parte civile tramite l’avvocato Alessandro Tucci, la difesa, invece, affidata a Maria Angela Romice, per il momento preferisce non commentare: «E’ una vicenda delicata e complessa - spiega - al termine della fase dibattimentale trarremo le nostre conclusioni». La sentenza è prevista per il 22 novembre: un ultimo teste, la discussione e la camera di consiglio. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico