La testimonianza: "Io, professore preso a pugni da un alunno dopo un rimprovero"

La testimonianza: "Io, professore preso a pugni da un alunno dopo un rimprovero"
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​FRATTAMAGGIORE. Il sangue scorre sul viso bollente come la rabbia che ti cresce in petto e offusca gli occhi. Uno, due cinque o forse più pugni ti hanno improvvisamente devastato il volto e le tue certezze. Vorresti reagire ad una violenza assurda, ma non puoi. Era lui, appena sedicenne: insieme con tre adulti ha atteso che uscissi dalla scuola al suono della campanella per punirmi di averlo rimproverato al cospetto delle sue compagne.


Mi hanno bloccato parandosi davanti all’auto per poi fulmineamente raggiungere il lato guida. Uno teneva ferma la portiera per impedirmi di scendere e lui, Antonio (il nome è di fantasia) giù a massacrare il mio viso di pugni. «Hai fatto ridere di me quelle e là», mi ha gridato in faccia con quanto fiato aveva in gola. Poi qualcuno lo ha fermato e tirato via, ma solo dopo che aveva compiuto la sua missione di «vendicare». Il suo onore ferito dal professore che aveva osato redarguirlo perché lo aveva sorpreso a scorrazzare con il motorino nel cortile della scuola su una ruota sola. Storie non tanto ordinarie di aspiranti bulli e di «pupe» da soggiogare con il fascino della guapparia a buon mercato.

Antonio ha perso tragicamente il padre quando era piccolo. Vive a Frattamaggiore in via Rossini, un agglomerato assurdo di case popolari dove quelli che ci abitano spesso mangiano più violenza che pane. Frequenta le aule dell’Isis Gaetano Filangieri, un’oasi incredibilmente felice dove capita che gli studenti rinuncino all’occupazione chiedendo alla preside Giuseppina Cafasso l’autorizzazione per fare autogestione, e così studiare fino a pomeriggio inoltrato le materie in cui vanno male. Per chiedere l’espulsione dalla scuola di Antonio non si è esitato un omento. Lo ha deciso il consiglio di classe con la preside. Un provvedimento duro, sofferto anche per me che ho denunciato l’accaduto alla polizia. Il dolore per il volto devastato dai pugni giudicabile hanno ceduto via via il passo all’amarezza di consegnare Antonio al mito del bullo di periferia che aspira a diventare da grande un boss.

«Voglio vedere mo’ che fai, vattene via e statti zitto che è meglio per te», aveva minacciato dopo avermi massacrato la faccia e dopo che l’uomo che si era presentato come suo zio mi aveva offerto un fazzoletto per tamponare il sangue, ma non aveva fatto nulla per fermarlo. Poi è venuto insieme con la madre ed altri parenti per chiedere scusa direttamente a scuola. Troppo poco per tornare indietro e soprattutto per imparare che le regole hanno un valore e vanno soprattutto rispettate e non sono fatte da coloro che usano la forza della violenza.


Una volta appresa la notizia una folla di alunni mi ha cercato, abbracciato, pianto fino a commuovermi. E qualcuno addirittura ha giurato di fargliela pagare, se solo avessi voluto. Ma io non voglio. E neanche loro. Lo perdono. Gli voglio bene. E sogno un giorno, quando avrà capito la lezione più importante della sua vita, di rivederlo tra i banchi. Ancora.
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Corriere Adriatico