Marco Prato si è suicidato all'una e dieci della scorsa notte nel carcere di Velletri dove era stato trasferito a marzo da quello romano di Regina Coeli in attesa di...
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In cella Prato ha lasciato un messaggio per spiegare il gesto: si sarebbe suicidato per «le menzogne dette» su di lui e per «l'attenzione mediatica» subìta.
Il giovane aveva scelto di farsi processare con il rito ordinario, mentre il complice Foffo era già stato condannato a trenta anni di carcere con l'abbreviato. Il processo nei confronti di Prato è iniziato ad aprile scorso. In carcere Prato aveva scoperto di essere sieropositivo. Continuava a professarsi innocente dicendosi succube di Foffo.
Il 4 marzo 2016 i due giovani avevano straziato, dopo un festino a bese di alcool e droga, il corpo di Varani. Durante le indagini, condotte dal pm Francesco Scavo, si sono accusati a vicenda. Il pierre aveva scelto di parlare con il magistrato solo dopo molti mesi. Il carcere, la vita senza futuro, il rimorso, devono avergli fatto decidere che era meglio morire.
Prato aveva già provato a togliersi la vita: nella stanza d'albergo in cui si rifugiò subito dopo l'omicidio furono trovati dei biglietti indirizzati ai suoi genitori. «Chiedo scusa a tutte le persone a cui ho fatto qualcosa - si leggeva in uno dei messaggi -.
«Una notizia tragica ma noi avevamo lanciato l'allarme mandando fax e presentando istanze in cui segnalavamo il rischio a cui poteva andare incontro anche Manuel Foffo», afferma ora l'avvocato Michele Andreano che ha seguito Foffo nel processo abbreviato. «Ci tengo a precisare che io non sono più l'avvocato di Foffo, ma questa vicenda - riapre la questione del controllo che alcuni detenuti devono necessariamente avere all'interno delle carceri. Attualmente Foffo è detenuto a Rebibbia in una struttura sorvegliata. Per Prato non so qualche fosse il regime cui era sottoposto ma i controlli sono assolutamente necessari». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico