Forza mamme, resistete. Stringete i denti, respirate, trattenete le crisi di nervi. Prima o poi l'emergenza finirà. Sarete le ultime a uscirne, perché il Paese...
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Il sondaggio. È quanto emerge da un sondaggio di Viking Italia, un'azienda che da sempre si occupa di risorse umane, che ha coinvolto mille donne italiane tra i 25 e i 45 anni. La maternità è vissuta come un "problema". Il 29% delle intervistate ha rimandato la prospettiva di avere figli a causa delle policy o delle impressioni di un datore di lavoro. E c'è ancora chi ha rinunciato a diventare mamme (il 16%) per la paura di perde il posto. O chi ha pagato questa scelta (17%) perché è stata messa da parte e ha visto sfumare le occasioni di carriera e il 6% è stata addirittura licenziata per via della gravidanza.
«La fotografia è impietosa. Ci dicono i dati che siamo un paese di mammoni che però non ama le mamme: le donne che decidono di fare figli dovrebbero venire premiate e sostenute per aver fatto un regalo non solo a se stesse e alle proprie famiglie, ma alla società intera», afferma la giornalista e scrittrice Paola Setti (autrice del libro "Non è un Paese per mamme") a cui Viking ha chiesto di commentare i risultati dell'indagine. «Con l’aggravante che le donne per prime chiedono scusa per il disturbo: lungi dall’essere consce che il sostegno alla conciliazione è un diritto sancito dalla Costituzione, sarebbero disposte a rinunciare a un aumento di stipendio pur di ottenere condizioni migliori.
Covid e smart working. Il 41% delle donne intervistate al momento lavora da casa, solo il 12 per cento lo faceva già prima della pandemia. Una su 5 dichiara di poter usufruire di turni e orari di lavoro flessibili e il 18% di essere in congedo retribuito. Solo il 4% afferma che il proprio datore di lavoro sta offrendo sostegno attraverso assegni familiari e/o sussidi per spese sanitarie. Nel Decreto Cura Italia sono previsti fino a 15 giorni di congedo retribuito al 50% per genitori con figli fino ai 12 anni. «Le soluzioni non mancano e se c’è un lato positivo di questa terribile pandemia è proprio averle messe in campo con la forza dell’emergenza. É vero che questa lunga quarantena ha pesato ancora di più sulle spalle delle mamme, che si sono ritrovate con un carico doppio sulle spalle, senza il supporto della scuola. E però è proprio da questa emergenza che possiamo intravedere il cambiamento: ci voleva la peste per attivare lo smart working, allungare i congedi parentali, dare sostegni economici alle famiglie per le baby sitter e in sostanza metterci tutti in condizione di gestire lavoro e famiglia senza rinunciare alla carriera oppure alla genitorialità», commenta Paola Setti.
I congedi. Così come sono, non bastano. Nove donne su 10 preferirebbero un modello di congedo parentale diverso da quello italiano. Ben l’81% delle donne intervistate vorrebbe migliori politiche a sostegno della famiglia da parte del proprio datore di lavoro, incluso un congedo di paternità più lungo e maggior supporto per i neo-genitori. Il 75% delle lavoratrici con figli e il 73% dei loro partner sono a favore di un congedo di paternità più lungo di quello attuale, che per ora prevede solo una settimana di congedo obbligatorio retribuito per i neo-papà. La maggioranza (65%) è a favore del modello norvegese, che prevede 42 settimane di congedo retribuito per la madre e fino a 10 per il padre. «L’allungamento dei congedi di paternità - aggiunge Paola Setti - è senz’altro uno dei perni su cui puntare. Non solo infatti darebbe un aiuto alle mamme, ma garantirebbe il diritto, oggi molto precario, dei papà al loro ruolo di genitori. Senza contare che forzerebbe il cambiamento dal punto di vista culturale: oggi ai colloqui di lavoro solo alle donne viene domandato se hanno l’intenzione di avere figli, perché si dà per scontato che saranno meno produttive nel momento in cui dovranno occuparsene, anche usufruendo del congedo obbligatorio. Se il congedo e la cura dei figli riguardassero anche i papà si ridurrebbe di molto la discriminazione di genere sui luoghi di lavoro».”
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Corriere Adriatico