Spina dorsale bionica, ecco la nuova speranza per le persone paralizzate

Spina dorsale bionica
MELBOURNE - Una nuova speranza di tornare a camminare per i pazienti paralizzati da ferite o malattie arriva da una 'spina dorsale bionica' sviluppata in Australia da...

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MELBOURNE - Una nuova speranza di tornare a camminare per i pazienti paralizzati da ferite o malattie arriva da una 'spina dorsale bionica' sviluppata in Australia da alcuni scienziati di Melbourne.

Il piccolo congegno detto stentrode, lungo 3 cm con un diametro di pochi millimetri, può essere impiantato in un vaso sanguigno vicino al cervello e funziona registrando l'attività cerebrale e convertendo i segnali in comandi. Sperimentazioni su pecore hanno dimostrato che il congegno, soprannominato spina dorsale bionica, può controllare arti bionici. Lo stent ha emesso segnali per i 190 giorni della sperimentazione, e il segnale si è rafforzato quando si è formato e consolidato il tessuto attorno allo stent.

Il congegno e la procedura di impianto sono stati sviluppati da una squadra di 39 neurologi e ingegneri biomedici del Royal Melbourne Hospital, dell'University of Melbourne e del Florey Institute of Neuroscience and Mental Health, e sono descritti sull'ultimo numero di Nature Biotechnology. Gli scienziati intendono sperimentare il congegno su pazienti del Royal Melbourne Hospital con paralisi degli arti inferiori. In una procedura di circa due ore, i medici praticheranno un piccolo taglio nel collo del paziente per inserire un catetere contenente lo Stentrode per poi disporlo sopra la corteccia cerebrale, la parte da cui partono gli impulsi nervosi che attivano i movimenti dei muscoli volontari. Il catetere viene poi rimosso. Lo stent è dotato all'esterno di elettrodi che individuano i segnali della corteccia cerebrale e li trasmettono a un piccolo congegno impiantato nella spalla del paziente. Altri congegni sono stati provati in passato ma richiedono chirurgia invasiva detta craniotomia, la rimozione in un tassello di cranio, con rischi di infezioni e complicazioni. La ricerca è stata in parte finanziata dall'esercito Usa per i reduci feriti sul campo.  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico