Silvia Romano ora si chiama Aisha, in un taccuino tutto il diario della sua prigionia: «Ho pianto per un mese» Silvia Romano è tornata in...
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Il quaderno lo aveva chiesto ai suoi carcerieri ed era stata accontentata. Glielo hanno preso poco prima di liberarla, ma le ha consentito di ricordare tutto lucidamente davanti alla Procura. È stata portata via dal villaggio Chakama, a 80 chilometri da Malindi dove lavora per la Onlus «Africa Milele». I tre uomini che l'hanno rapita, tra cui un suo conoscente, l'hanno consegnata ai suoi carcerieri, ma ci sono voluti 30 giorni prima di raggiungere la Somalia.
I primi giorni sono stati drammatici. «Ero disperata, piangevo sempre. Il primo mese è stato terribile». Poi piano piano si è tranquillizzata. «Mi hanno detto che non mi avrebbero fatto del male, che mi avrebbero trattata bene. Ho chiesto di avere un quaderno, sapevo che mi avrebbe aiutata». Ha cambiato sei covi e nel primo mese si è anche ammalata. Ha precisato di non essere stata toccata o costretta a sposarsi, ma sono in molti in rete a ipotizzare una sua gravidanza. Le sue parole sembrano cancellare il dubbio.
Ai pm ha spiegato di aver girato tre video durante la prigionia: quelle immagini hanno consentito all’Aise di portare a termine il negoziato per la sua liberazione. È nella seconda parte della sua prigionia che ha chiesto anche un Corano, con testo italiano a fronte. Ed è stato allora che ha maturato la sua conversione incamminandosi lungo un percorso di rinascita sotto un nome carico di significati come quello di Aisha.
Ha scelto di chiamarsi così dopo i primi cinque mesi di prigionia. Aisha è il nome della figlia Abu Bakr, primo califfo dell'Islam. La donna è la "madre dei credenti", nonché la sposa del profeta Maometto. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico