Due italiane sfruttate in un negozio cinese: le pagavano un euro e 60 all’ora

Due italiane sfruttate in un negozio cinese: le pagavano un euro e 60 all’ora
La narrazione prevalente, per forza di cose, parla dei tanti extracomunitari sfruttati e talora, per esempio nel lavoro bracciantile, vittime di un selvaggio...

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La narrazione prevalente, per forza di cose, parla dei tanti extracomunitari sfruttati e talora, per esempio nel lavoro bracciantile, vittime di un selvaggio “caporalato” che toglie dignità da parte di collettori italiani di manodopera senza scrupoli.


Ma la quantità sempre crescente di negozi sotto il controllo di proprietari cinesi fa sì che, talvolta, gli sfruttatori siano targati Far East; e che talvolta gli sfruttati siano, invece, lavoratori italiani.
 
È esattamente quanto accaduto a Catania: due giovanissime, pressate dal bisogno economico, hanno accettato di sottoporsi a uno sfruttamento lavorativo indicibile proprio in un esercizio commerciale gestito da imprenditori cinesi.
 
Senza aver firmato alcun contratto di lavoro, le due ragazze operavano per 10 ore al giorno e venivano pagate un euro e 60 centesimi all’ora: una paga rispetto alla quale persino i lavoratori socialmente utili potrebbero essere considerati “benestanti”.  

In più, come riscontrato dalla Polizia durante un controllo eseguito all’interno del negozio in questione, le due lavoratrici erano sottoposte – costantemente quanto illegalmente – a controllo remoto mediante telecamere. Una pratica del tutto vietata dallo Statuto dei lavoratori: e per questa violazione il titolare D.W. è stato denunciato penalmente a piede libero per sfruttamento dei lavoratori facendo leva sul loro stato di bisogno, mentre poliziotti e funzionari dell’Ispettorato del lavoro hanno chiuso il negozio, provvedendo alla temporanea sospensione dell’attività.
 
Ancòra, gli agenti hanno riscontrato gravi pecche rispetto alle prescrizioni della “626” in tema di sicurezza degli ambienti di lavoro come pure sotto il profilo della loro salubrità: sporcizia ovunque, mentre i dipendenti non avevano spogliatoi né armadietti in cui custodire i propri effetti personali. Assenti anche gli attestati relativi alla formazione dei lavoratori. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico