Party sesso e droga, Monica uccisa da dose fatale: pusher ancora libero

Monica Gallo, uccisa da una dose fatale di droga
Storia di una sentenza che, comunque vada, è destinata a restare sulla carta, bruciata in un cortocircuito tra legge e giustizia. È la condanna inflitta a uno...

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Storia di una sentenza che, comunque vada, è destinata a restare sulla carta, bruciata in un cortocircuito tra legge e giustizia. È la condanna inflitta a uno spacciatore marocchino per il festino a base di droga e sesso in cui, più di un decennio fa, morì una giovane donna di Camposampiero: emesso dal Tribunale di Padova, il verdetto è ora pendente in Corte d'Appello di Venezia, che ha sollevato una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta, nella previsione che il caso possa approdare fino in Cassazione. Anni e anni di processi a carico di un fantasma, visto che l'imputato è sparito il giorno della tragedia senza mai più essere rintracciato, ma che una falla normativa sta rendendo inutili, ai fini della concreta esecuzione della pena.Tutto comincia il 23 maggio in un condominio di via Turazza, nella zona della Stanga. Sono i tempi del muro di via Anelli, quando il quartiere è sotto lo scacco dei trafficanti. E sono anche i mesi in cui nell'area imperversa Ahmed Hozem, detto Luca, con il suo smercio di eroina e cocaina. Alla giornata di sballo con i pusher partecipano anche un ragazzino di 15 anni e tre  ragazze di 16, 19 e 21. L'ultima dose ceduta è fatale proprio alla più grande: Monica Gallo alla sera viene ritrovata dai carabinieri, seminuda ed esanime, su un materasso abbandonato davanti a un garage, vegliata solo dal suo cagnolino. L'amica maggiorenne patteggia una pena pecuniaria per omissione di soccorso. Per la stessa contestazione rimedia tre mesi un 60enne vicentino, il 30 ottobre 2013, quando al termine del dibattimento di primo grado un 24enne magrebino viene assolto dal concorso nello spaccio continuato di sostanze stupefacenti e nella morte come conseguenza di altro reato, accuse che invece costano 14 anni di (teorica) reclusione al 32enne Hozem .

RICERCHE VANEGià dichiarato irreperibile con decreto del pubblico ministero, il nordafricano tale rimane anche quando il difensore d'ufficio impugna la sentenza davanti alla Corte d'Appello, che il 18 gennaio 2017 dispone inutilmente nuove ricerche. I giudici della seconda sezione penale, nell'ordinanza con cui portano la vicenda all'attenzione della Corte Costituzionale, scrivono che «dalla lettura degli atti risulta con certezza» che Luca «non ha mai avuto cognizione e informazione alcuna della pendenza di questo processo», in quanto si è allontanato dall'appartamento del dramma «prima dell'intervento della polizia giudiziaria», verso la vittima aveva «una conoscenza sostanzialmente occasionale» e non ha ricevuto la notifica di «alcun atto». Insomma, sarebbe la tipica situazione in cui il giudizio deve essere sospeso per assenza dell'imputato, come prevede dal 2014 il codice di procedura penale, in ossequio ai princìpi europei che raccomandano la garanzia di adeguata difesa.
LA COSTITUZIONALITÀIl problema è che la sentenza di primo grado è stata emessa prima dell'entrata in vigore di questa norma, per cui la Corte d'Appello pone alla Consulta un dubbio di legittimità costituzionale, affermando che «ogni attività processuale cui si dovesse dare ulteriore corso», magari fino in Cassazione, sarebbe «del tutto vanamente espletata». Perché? I magistrati di Venezia spiegano che se Hozem rimanesse irrintracciabile per sempre, la condanna resterebbe inevitabilmente virtuale. Ma se anche il marocchino venisse finalmente scovato da qualche parte, potrebbe comunque ottenere una riapertura dei termini per impugnare la sentenza di Padova emessa in sua assenza. A quel punto dovrebbe essere ripetuto il procedimento attualmente pendente, la cui «inutile celebrazione impedisce la trattazione tempestiva altri processi». 

Com'è andata a finire? Non è finita, nel senso che mercoledì scorso la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso, invitando i giudici lagunari a trovare una soluzione al rebus studiando la giurisprudenza in materia, «pur non univoca», dal momento che davanti a casi simili è stato deciso a volte di sospendere, altre volte di non sospendere. Così, a undici anni dalla morte di una ragazza, continua la caccia allo spacciatore che la aiutò a iniettarsi la dose letale, un fantasma in fuga (vittoriosa) dalla burocrazia.
Angela Pederiva
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Corriere Adriatico