Storia di una sentenza che, comunque vada, è destinata a restare sulla carta, bruciata in un cortocircuito tra legge e giustizia. È la condanna inflitta a uno...
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RICERCHE VANEGià dichiarato irreperibile con decreto del pubblico ministero, il nordafricano tale rimane anche quando il difensore d'ufficio impugna la sentenza davanti alla Corte d'Appello, che il 18 gennaio 2017 dispone inutilmente nuove ricerche. I giudici della seconda sezione penale, nell'ordinanza con cui portano la vicenda all'attenzione della Corte Costituzionale, scrivono che «dalla lettura degli atti risulta con certezza» che Luca «non ha mai avuto cognizione e informazione alcuna della pendenza di questo processo», in quanto si è allontanato dall'appartamento del dramma «prima dell'intervento della polizia giudiziaria», verso la vittima aveva «una conoscenza sostanzialmente occasionale» e non ha ricevuto la notifica di «alcun atto». Insomma, sarebbe la tipica situazione in cui il giudizio deve essere sospeso per assenza dell'imputato, come prevede dal 2014 il codice di procedura penale, in ossequio ai princìpi europei che raccomandano la garanzia di adeguata difesa.
LA COSTITUZIONALITÀIl problema è che la sentenza di primo grado è stata emessa prima dell'entrata in vigore di questa norma, per cui la Corte d'Appello pone alla Consulta un dubbio di legittimità costituzionale, affermando che «ogni attività processuale cui si dovesse dare ulteriore corso», magari fino in Cassazione, sarebbe «del tutto vanamente espletata». Perché? I magistrati di Venezia spiegano che se Hozem rimanesse irrintracciabile per sempre, la condanna resterebbe inevitabilmente virtuale. Ma se anche il marocchino venisse finalmente scovato da qualche parte, potrebbe comunque ottenere una riapertura dei termini per impugnare la sentenza di Padova emessa in sua assenza. A quel punto dovrebbe essere ripetuto il procedimento attualmente pendente, la cui «inutile celebrazione impedisce la trattazione tempestiva altri processi».
Com'è andata a finire? Non è finita, nel senso che mercoledì scorso la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso, invitando i giudici lagunari a trovare una soluzione al rebus studiando la giurisprudenza in materia, «pur non univoca», dal momento che davanti a casi simili è stato deciso a volte di sospendere, altre volte di non sospendere. Così, a undici anni dalla morte di una ragazza, continua la caccia allo spacciatore che la aiutò a iniettarsi la dose letale, un fantasma in fuga (vittoriosa) dalla burocrazia.
Angela Pederiva
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Corriere Adriatico