Divorzio breve, dirsi addio è più rapido Troppi procedimenti: rischio ingolfamento

Divorzio breve, dirsi addio è più rapido Troppi procedimenti: rischio ingolfamento
ROMA - Ora sarà più facile dirsi addio. Entrano infatti in vigore le nuove norme sul divorzio breve, grazie alla riforma...

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ROMA - Ora sarà più facile dirsi addio.




Entrano infatti in vigore le nuove norme sul divorzio breve, grazie alla riforma approvata dal Parlamento lo scorso 22 aprile e poi pubblicata in Gazzetta ufficiale il 6 maggio.



Non saranno più necessari tre anni per dirsi addio, come previsto dalla riforma della legge Fortuna-Baslini, ma solo 6 mesi, se la separazione è consensuale, o al massimo un anno se si decide di ricorrere al giudice. E le nuove procedure possono valere anche chi ha una causa di divorzio già in corso. Secondo alcune stime, sarebbero circa 200 mila i procedimenti pendenti che potrebbero dunque approfittare di regole più veloci. Ma il rischio è quello di un ingolfamento delle richieste, soprattutto in virtù della retroattività della nuova legge.



A spiegarlo è l'avvocato Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell'Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani: "Restano le criticità di sempre per le separazioni giudiziali: il termine di 12 mesi per proporre il divorzio dall'inizio della separazione è assolutamente ottimistico, conoscendo i tempi della giustizia italiana. Pertanto nelle procedure contenziose l'attesa resterà lunga, considerato che per chiedere il divorzio bisogna definire con sentenza la separazione".



Si prevede un notevole numero di procedure di divorzio nei vari tribunali d'Italia perché la legge è retroattiva e riguarda almeno 300mila coppie di separati. Si calcola approssimativamente che almeno 50mila coppie chiederanno il divorzio nei mesi di giugno e luglio prossimi", conclude il presidente dell'Ami.



Numerose le novità introdotte dalla nuova legge. I tempi, innanzitutto. Fino a oggi lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio poteva essere chiesto da uno dei coniugi non prima di tre anni di separazione. Con il divorzio breve il termine scende a 12 mesi per la separazione giudiziale e a 6 mesi per quella consensuale, indipendentemente dalla presenza o meno di figli. Novità, poi, sulla comunione dei beni, che si scioglie quando il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione consensuale; prima si realizzava solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Non è stato affatto facile arrivare a questo punto. E pensare che nel 1800 il Codice di Napoleone già consentiva di sciogliere i matrimoni civili, (ma serviva il consenso dei genitori e dei nonni). Ma con l'Italia unita, il divorzio rimase un tabù.



Nel 1902 non fu approvata una direttiva del governo Zanardelli che prevedeva il divorzio solo in caso di adulterio, lesioni al coniuge, condanne gravi. Bisogna così arrivare alla seconda metà degli anni Sessanta per l'avvio della battaglia in nome del divorzio: con il progetto di legge del socialista Loris Fortuna, le manifestazioni dei radicali, la Lega italiana per l'istituzione del divorzio. È così si arriva alla svolta, al dicembre 1970 quando radicali, socialisti, comunisti, liberali e repubblicani approvarono la legge; contrari la Dc e il Msi. Ma anche allora la strada fu tortuosa.



L'Italia cattolica, antidivorzista, chiese il referendum: il 12 maggio 1974, l'87,7% degli italiani andò al voto per scegliere se abrogare o meno la legge Fortuna-Baslini; grazie a quasi il 60% dei no, restò in vigore. Arriva, poi, la prima forma di divorzio breve, con la riforma nel 1987 e con i tempi del divorzio che passano dai 5 ai 3 anni. Il 22 aprile l'ulteriore grande passo, in attesa del divorzio immediato, stralciato dal Ddl, e del riconoscimento degli altri diritti civili che l'Italia ancora aspetta. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico