Scambiavano video a luci rosse, immagini pedopornografiche, scritte inneggianti a Adolf Hitler, Benito Mussolini, all'Isis e postavano frasi choc contro migranti ed ebrei. A...
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All'alba di ieri sono scattate le perquisizioni coordinate dai carabinieri di Siena, che hanno condotto la delicata inchiesta, in Toscana, Val d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria nelle abitazione degli indagati, residenti in 13 province. La Procura per i minori di Firenze ha indagato tutti per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all'apologia di reato avente per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali. Il più "anziano" del gruppo ha compiuto da poco 19 anni, il più giovane ne ha 15.
A far parte della chat dell'orrore vi erano anche 6 ragazzi, poco più che bambini, tutti di età inferiore ai 14 anni, quasi tutti 13enni, e, per questo ritenuti dalla legge non imputabili. «Se non fosse stato per quella denuncia della madre a gennaio l'indagine non sarebbe partita né a Siena nè altrove - spiegano i carabinieri - Perchè un gruppo WhatsApp non conosce confini e quell'espressione degradante di malcostume ha interessato molte regioni d'Italia. Moltissimi ragazzini hanno potuto osservare le immagini di pedopornografia, di enorme violenza, di apologia del nazismo e dell'islamismo radicale che vi erano contenute». È in quegli abissi di degrado che i carabinieri hanno dovuto lavorare, attraverso intercettazioni telematiche richieste e ottenute dalla Procura dei minori di Firenze, sotto il coordinamento del procuratore Antonio Sangermano e dalla Procura distrettuale di Firenze competente per materia, grazie ai decreti emessi dal pm Sandro Cutrignelli.
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Tanti ragazzini dai 13 ai 17 anni sono rimasti invischiati più o meno consapevolmente in questa triste vicenda di pedopornografia; altri, dopo essere entrati in quello spazio di orrore ospitato dal noto social network ne sono subito usciti. «Ma nessuno di loro risulta aver denunciato la cosa», precisano i carabinieri. Autorizzati dai pubblici ministeri, i militari si sono introdotti con l'inganno all'interno del gruppo social, riuscendo a convincere gli amministratori della loro affidabilità con un giochetto da hacker. Dopo oltre cinque mesi di indagini si è poi risaliti agli amministratori del gruppo, quelli che lo hanno creato e alimentato, minorenni e maggiorenni, tutti residenti nella zona di Rivoli: le immagini e i video postati sono stati attribuiti singolarmente alla responsabilità di qualcuno di loro e alla fine ne è venuta fuori una documentata informativa di reato che è finita sul tavolo dei magistrati. A questo punto i magistrati hanno ritenuto necessario interrompere da subito «l'attività delittuosa» dei ragazzini. I carabinieri avevano ricostruito tutto, ma maggiori elementi potevano emergere solo dalle perquisizioni.
Sono stati così emessi 25 decreti di perquisizione a carico degli indagati, che ha permesso di bloccare la diffusione progressiva dei partecipanti al gruppo.
Corriere Adriatico