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Per la giovane coppia e i familiari il nuovo anno (parliamo di gennaio del 2022) si sarebbe dovuto aprire con la più bella delle notizie: la nascita di un figlio tanto desiderato. Una gioia indescrivibile che in pochi istanti si è trasformata in disperazione per entrambi i genitori (aquilani, assistiti dall’avvocato Isidoro Isidori) che si sono sentiti dire dal personale medico che quel bimbo in realtà era morto. Ora a distanza di due anni e tre mesi circa dalla tragedia, il Gup del Tribunale dell’Aquila, valutate le prove raccolte e ritenendo che gli elementi raccolti possano portare «ad una ragionevole condanna» ha rinviato a giudizio l’unico medico indagato.
Dirimente è stata la consulenza disposta dal pm. Dovrà pertanto affrontare il processo a settembre D.L. di 44 anni dell’Aquila, assistita dall’avvocato Vincenzo Alessandro Ciucci.
In particolare nonostante la gestante alla 36esima settimana avesse presentato minacce di parto pretermine e fosse stata ricoverata due settimane dopo per la stessa problematica, sarebbe stata indotta al travaglio mediante medicinali. Pur a fronte di chiari segni di sofferenza fetale, resi evidenti dal tracciato cardiotocografico del feto che presentava improvvise e consistenti decelerazioni del battito fetale, la ginecologa avrebbe omesso di effettuare un intervento immediato per correggere le cause reversibili e mettere in atto le ulteriori manovre operative per procedere al parto con taglio cesareo. Parto avvenuto spontaneamente dopo 45 minuti, (dalla mezzanotte circa fino alle 00.45) nonostante la sala operatoria fosse stata preallertata e pronta fin dalle 23.45. La partoriente ricoverata nel reparto Covid era stata rassicurata dal personale medico sulle condizioni di salute sue e del feto, escludendo un eventuale parto cesareo. Il neonato venuto alla luce, anziché essere posto dopo poco tra le braccia della donna, era purtroppo morto.
LE MANOVRE
I medici avevano tentato per 40 minuti anche di rianimare il corpicino senza riuscire a vincere la battaglia sulla morte. La stessa cartella clinica della paziente era stata sigillata senza poter essere aperta per 72 ore a causa del protocollo Covid. In sede di chiusura delle indagini preliminari erano stati scagionati altri cinque medici che a vario titolo si erano occupati della partoriente, compreso lo stesso medico curante che però non aveva partecipato alle fasi del parto. In sede dibattimentale l’imputata potrà far valere le ragioni della propria innocenza potendo usufruire di tutti i mezzi difensivi messi a disposizione dalla Legge. Va chiarito, ovviamente, che al momento per il medico si tratta solo di accuse che dovranno essere tutte dimostrate nel dibattimento.
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