Manni al telefono: "Bisogna fare sei o settemila attentati"

Manni al telefono: "Bisogna fare sei o settemila attentati"
ASCOLI - Muoversi percorrendo un doppio binario: quello della violenza e quello della politica. Era questo, secondo gli...

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ASCOLI - Muoversi percorrendo un doppio binario: quello della violenza e quello della politica.




Era questo, secondo gli inquirenti il piano che Stefano Manni aveva intenzione di mettere in atto. Piano che emergerebbe anche dalle molte intercettazioni effettuate e dalle conversazioni in chat carpite dagli investigatori nel corso delle indagini.



Per la Procura di L’Aquila, l’organizzazione eversiva voleva mettere in atto una e vera e propria "strategia della tensione" con migliaia di attentati che avrebbero poi reso più agevole la scalata al potere politico.



"Prima non si va a votare, si destabilizza la situazione, si fanno sei o settemila attentati di quelli sanguinari e a quel punto alla gente si dice: gli unici che possono tirarvi fuori da questa situazione siamo noi; che volete fare?".



E’ questo uno stralcio dell’intercettazione di una telefonata del novembre del 2013, finita nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip Giuseppe Romano Gargarella, tra Manni ed un’altra indagata in cui il quarantottenne ascolano ritenuto il capo indiscusso dell’organizzazione eversiva racconta di un colloquio che c’è stato con un’altra donna ritenuta vicina al movimento.



Nel corso di un’altra telefonata, ascoltata e trascritta dagli inquirenti, ribadisce la necessità di mettere in atto la strategia della ma "non alla cieca come è stato fatto quaranta anni fa, colpendo stazioni e bambini. Va fatto mirato, ma va fatto". Se per l’accusa queste conversazioni, insieme ad altre sempre dello stesso tenore, farebbero evincere la volontà ed il piano che Stefano Manni insieme con gli altri membri dell’organizzazione finiti nell’inchiesta "Aquila Nera" avevano intenzione di mettere in atto, per i suoi difensori, gli avvocati Gionni e Montani, starebbe a testimoniare ancora una volta che Manni non era quello che voleva far credere a tutti ma che raccontava cose non vere attraverso i social network e nelle conversazioni telefoniche.



Ma, soprattutto, non aveva alcuna intenzione di compiere atti concreti di terrorismo. Due linee di pensiero, quella dell’accusa e della difesa, che saranno oggetto di dibattito nel corso dell’udienza davanti ai giudici del Riesame di L’Aquila dove la difesa ha presentato l’istanza di scarcerazione e, in subordine, la richiesta che la misura cautelare in carcere venga tramutata nei domiciliari.



Intanto, questa mattina l’avvocato Mauro Gionni potrebbe incontrare Manni nel carcere di Pescara dove il quarantottenne è detenuto. Nei giorni scorsi era stato il fratello a recarsi nella casa circondariale abruzzese per accertarsi delle condizioni di Manni.



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Corriere Adriatico