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La vicenda
Era l’11 novembre del 2016 quando lungo la strada provincia della Bonifica, la 1B, ad Ancarano, Urriani si andò a schiantare contro un camion fermo.
La dinamica
Pochi istanti prima del ciclista, l’autista del camion si era fermato per consentire, nel restringimento di carreggiata, il passaggio di un altro mezzo che procedeva in direzione opposta. Il ciclista purtroppo non ha fatto in tempo a frenare dopo una curva in un tratto in discesa e l’impatto, violentissimo, è stato inevitabile. Quel giorno Urriani non indossava il casco, che tuttavia non è obbligatorio, ma anche dai successivi accertamenti disposti dalla procura sarebbe emerso che comunque non gli avrebbe salvato la vita visti i traumi riportati. Secondo l’accusa, quindi, i tre imputati sarebbero tutti responsabili, a vario titolo, della mancata manutenzione di quel tratto di strada provinciale dove si è verificato l’incidente mortale e dove, appunto, tre anni prima dell’evento si era verificata una frana che aveva provocato un restringimento di carreggiata che impediva il passaggio contemporaneo di due mezzi e sul quale, però, nessuno era intervenuto neanche per segnalarlo.
Le reazioni
«Confidavamo nella giustizia ed eravamo convinti sin dall’inizio che non ci fosse la responsabilità del ciclista», hanno commentato, ieri, subito dopo la sentenza, i legali di parte civile, gli avvocati Adalberto Palestini, che rappresentava moglie e figlia della vittima, e l’avvocato Alessandro Mariani, che invece rappresentava i genitori e i fratelli. Difensori degli imputati i legali Guglielmo ed Eugenia Marconi, Pietro Referza e Vincenzo Di Nanna. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico