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ANCONA - «Accettavo le sue richieste solo per la paura di scatenare la sua rabbia». E ancora: «Il nostro rapporto si basava sempre sull’invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perché i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati. Anche una semplice foto da me postata sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell’auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata».
È così che nella denuncia di fine luglio sporta ai carabinieri, e poi accentuata da tre integrazioni (il 3, l’8 e il 23 agosto), la 56enne Alessandra Matteuzzi descriveva la persecuzione subita dall’ex compagno Giovanni Padovani, modello-calciatore di Senigallia. Lui, in carcere per l’omicidio della donna, sarebbe stato mosso, come scritto dal gip, da un «desiderio irrefrenabile di gelosia».
I social
Le manie di controllo avrebbero invaso anche la vita social della vittima. «Ho potuto constatare - raccontava l’agente di moda ai militari - che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani».
L’accertamento
Ieri, i primi riscontri emersi dall’autopsia sul corpo della vittima, massacrata sotto la sua abitazione, in via dell’Arcoveggio. Secondo la ricostruzione accusatoria, Alessandra è stata prima colpita con una martellata al volto, poi riempita di calci e pugni. Infine, l’ex si sarebbe accanito contro la donna utilizzando una panchina di ferro. Una violenza («un raptus di rabbia» l’ha definita Padovani) che ha provocato alla donna plurime fratture al cranio. Stando al medico legale il decesso sarebbe scaturito da un’emorragia dovuta proprio allo sfondamento del cranio. Trovate anche lesioni al torace, non sulle mani. Come se la 56enne non avesse fatto in tempo a difendersi.
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Corriere Adriatico