Cutrona, presidente del Tribunale dei Minori, dopo i fatti di Ancona: «Le sfide dei ragazzini tra videogames e social. E la devianza aumenta»

Dopo la rissa in pieno centro tra minorenni con l'illusione dell'impunità

Cutrona, presidente del Tribunale dei Minori, dopo i fatti di Ancona
Dottor Sergio Cutrona, presidente del Tribunale dei Minorenni delle Marche, il disagio giovanile sembra essere una piaga dei giorni nostri e spesso degenera in episodi di...

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Dottor Sergio Cutrona, presidente del Tribunale dei Minorenni delle Marche, il disagio giovanile sembra essere una piaga dei giorni nostri e spesso degenera in episodi di microcriminalità. È cosi?


«Il disagio minorile è un problema che si sta diffondendo sempre di più e in molti casi rappresenta la premessa della devianza, che è da ricondurre a numerosi fattori». 

 
Prego.
«A volte i giovani sembrano poco interessati al rapporto con gli adulti. Si chiudono nel loro mondo fatto di videogames e social, viene a mancare il dialogo che un tempo serviva a confrontarsi e a far emergere quei valori che, ad oggi, faticano a manifestarsi». 

Che tipo di cultura prevale?
«Quella dell'apparire e dei social, dove non c'è nulla di quei valori a cui dovrebbero tendere i giovani.I ragazzi si mettono in mostra con sfide pericolose, per le ragazze l’obiettivo è apparire seducenti, mettendo in mostra il proprio corpo».

Sul fronte penale, con quali reati si confronta maggiormente il tribunale?
«Anni fa, ricordo che erano prevalenti i reati contro il patrimonio, come furti e ricettazioni, spesso legati ai motorini. Oggi abbiamo sempre più a che fare con aggressioni, violenze sessuali e pedopornografia. La criminalità minorile si è spostata lungo questa direzione».

Ciò che ha colpito molto rispetto alla rissa in pieno centro dello scorso venerdì è che i ragazzi under 18 coinvolti gridavano: «tanto siamo minorenni, non ci potete fare nulla». C'è l'idea dell'impunità?
«Alcuni la coltivano, ma è sbagliatissimo perché è un'illusione. Non è vero che possono fare quello che vogliono senza rispondere delle loro azioni». 

A cosa mira il tribunale?
«Al recupero dei ragazzi, che a volte è un percorso molto più faticoso della sanzione. Li prendiamo in carico, spesso con la messa alla prova, per cercare di farli uscire dal disagio che stanno vivendo».

Quale è la svolta per la rieducazione?
«La paura della sanzione rende i ragazzi più disponibili e collaborativi. Fino a che non provano paura per le conseguenze giuridiche del loro agire, hanno una sensazione di impunità e di onnipotenza. Ma quando entrano del circuito del recupero, allora capiscono di aver sbagliato. Talvolta, li facciamo confrontare con il volontariato e scoprono la dimensione della sofferenza, che di solito non gli appartiene dal punto di vista fisico». 

Il risultato?
«Diventano migliori dei ragazzi che non hanno mai avuto a che fare con la giustizia minorile». 

E se il recupero va male?
«Al minore si tende la mano, se non coglie l'opportunità, allora non ci resta che punirlo».

Davanti alla sempre più crescente criminalità minorile, come dobbiamo armarci?


«Credo fortemente nella prevenzione, va attuata una strategia per il recupero del tessuto sociale. Abbiamo un dovere morale: sostenere i giovani per far sì che la società non peggiori. Una similitudine: il tribunale è l’ospedale dei ragazzi più critici. Se non si fa prevenzione il numero dei casi patologici crescerà esponenzialmente. Dobbiamo fare qualcosa. E subito».  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico