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La sentenza bis
Il ribaltone c’è stato di recente in appello, quando i giudici hanno cancellato la condanna, assolvendo l’insegnante perché il fatto non sussiste. Di Presa, assistito dagli avvocati Gianni Marasca e Susanna Randazzo, è stato sei anni sulla graticola.
«Periodo bruttissimo»
«Ho passato un periodo bruttissimo - dice il docente- rincorso da queste accuse infamanti che mi hanno isolato dal resto della società pur avendo la solidarietà di tutti coloro che mi conoscono e che non hanno mai creduto a ciò che mi veniva addebitato». Cerca di voltare pagina: «Non sarà facile per me ritornate ad essere quello che ero, il peso di questo dramma si farà sentire per sempre. Darò incarico al miei legali di verificare la possibilità di essere risarcito del danno subito anche se non sarà mai sufficiente a compensare la sofferenza e le opportunità ormai svanite».
Le accuse mosse dalle alunne che stavano affrontando la terza media della scuola Soprani di Castelfidardo sono risultate essere completamente infondate. Per la violenza sessuale, la procura parlava di strusciamenti e sfioramenti delle parti intime. Laddove ci fossero stati dei contatti, scrivevano i giudici di primo grado, non si può escludere la loro involontarietà e una natura diversa da quella di tipo sessuale. «Le molestie sessuali? Mai avvenute: le aule erano strette e anguste, potrei aver urtato qualcuno passando tra i banchi» aveva detto l’imputato in aula.
Le molestie
Per i maltrattamenti, stando alla Corte d’Appello «non appare provato un clima di abituali vessazioni fisiche e morali». Già nel corso dell’incidente probatorio la ragazzina vittima dei presunti abusi (e gravata da deficit dell’apprendimento) aveva ritrattato le accuse, formulate - stando alla sua versione - perché spinta dai compagni. «L’ipotesi che tutta la classe - scrivono i giudici d’appello- si fosse coalizzata per protestare contro il professore non appare così remota». All’origine del comportamento degli studenti ci sarebbe stato il sequestro di un cellulare da parte del prof e poi il lancio di un libro, che «avrebbe fatto esacerbare gli animi e indurre la classe a dichiarare i comportamenti poco consoni». Insomma, una sorta di vendetta che è costata al docente il posto di lavoro.
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Corriere Adriatico