«Mi denunci? Non vedrai più tua figlia». Minacciata e violentata dal compagno

«Mi denunci? Non vedrai più tua figlia». Minacciata e violentata dal compagno
SENIGALLIA Un incubo durato due anni, densi di aggressioni, insulti, vessazioni fisiche e psicologiche. Con un episodio scatenante che ha scoperchiato il vaso degli orrori...

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SENIGALLIA Un incubo durato due anni, densi di aggressioni, insulti, vessazioni fisiche e psicologiche. Con un episodio scatenante che ha scoperchiato il vaso degli orrori nascosto nell’abitazione di Senigallia in cui convivevano: una violenza sessuale consumata prima che lei, giovane mamma 26enne, andasse al lavoro, episodio avvenuto nell’agosto 2020 per quale l’ex compagno, un 30enne disoccupato con problemi di tossicodipendenza, è già stato condannato dal giudice Alberto Pallucchini a 2 anni, nel febbraio scorso, con rito abbreviato.

 

La ricostruzione

Ora l’imputato - difeso dall’avvocato Bernardo Becci - rischia una nuova punizione: nel processo parallelo per maltrattamenti aggravati in famiglia, ieri il pm Ruggiero Dicuonzo ha chiesto per lui la condanna a un anno e 4 mesi, tenuto conto delle attenuanti generiche giustificate dal suo atteggiamento collaborativo. Richiesta a cui si è associato il legale della donna, l’avvocato Chiara Arcangeli del foro di Fermo, tramite cui si è costituita parte civile.

Per due anni, dal 2019 al 2021, la 26enne sarebbe stata sottoposta a continui maltrattamenti, fisici e morali, che sarebbero avvenuti soprattutto quando il compagno beveva e assumeva stupefacenti. La giovane, quando è stata ascoltata in aula, ha raccontato di aver ricevuto offese e minacce di morte a cadenza regolare e di essere stata picchiata con schiaffi e tirate di capelli anche quando era incinta e, dopo aver partorito, anche in presenza della loro bambina, che oggi ha tre anni. «Mi costringeva a una vita d’inferno, una convivenza intollerabile», raccontò in lacrime al giudice Francesca Grassi che, riconoscendo l’aggravante della presenza della minorenne, trasmise gli atti al collegio, presieduto dal giudice Carlo Cimini, che il prossimo 27 marzo dovrà esprimersi sui maltrattamenti in famiglia.

La mamma, insieme alla figlia, ora si trova in una comunità protetta per cercare di dimenticare una relazione tossica che era culminata con il rapporto non consenziente consumato nell’agosto 2020, quando il compagno, dopo averla chiusa a chiave in camera, l’avrebbe violentata. La 26enne riuscì in qualche modo a scappare e a chiedere aiuto ad un’amica che, il giorno dopo, si accorse del suo sanguinamento e decise di attivare i servizi sociali.

Una gelosia irrefrenabile e ingiustificata sarebbe stata alla base del comportamento violento del 30enne che nel tempo avrebbe costretto la madre di sua figlia ad isolarsi dal resto del mondo: andava a prenderla all’uscita dal lavoro per evitare che si vedesse con altri, le impediva di avere contatti con chiunque. In un’occasione, la notte di Capodanno 2019, l’avrebbe chiusa in auto per gelosia e poi le avrebbe sbattuto la testa contro il finestrino, come hanno riferito dei testimoni. Le avrebbe pure fatto perdere un paio di opportunità lavorative. Lei non ha avuto mai il coraggio di denunciarlo o di andare all’ospedale, paralizzata dalla paura: «Mi diceva che mi avrebbe portato via mia figlia», ha confidato ai giudici. Una volta erano intervenuti i carabinieri, a casa loro, su richiesta della sorella della vittima: solo dopo una lunga trattativa il 30enne ha aperto la porta, ma anche in quella circostanza la donna, per paura, minimizzò l’aggressione subita, salvo poi trovare il coraggio di ribellarsi e scappare dal compagno.

 

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Corriere Adriatico