Delitto Pinciaroli, movente tra droga e soldi nei messaggi di Andreucci

Il luogo dell'omicidio
OSIMO - Già quattro ore e mezzo prima che il veterinario Olindo Pinciaroli fosse assassinato con 15 coltellate, il suo collaboratore Valerio Andreucci annunciava agli amici...

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OSIMO - Già quattro ore e mezzo prima che il veterinario Olindo Pinciaroli fosse assassinato con 15 coltellate, il suo collaboratore Valerio Andreucci annunciava agli amici che stava per salire a Osimo per fargli la pelle. «Lo ammazzo, ti giuro». Anzi, cercava pure complici per la spedizione punitiva destinata a fare fuori probabilmente un testimone scomodo. «Vieni su con me», dice a un certo Andrea. E dopo aver ucciso il suo datore di lavoro, il fantino di 24 anni che sognava di cavalcare un destriero alla Quintana di Ascoli cerca consigli su come sbarazzarsi del cadavere. «Dove si può nascondere un corpo? Non sto scherzando», chiarisce immaginando lo scetticismo dell’interlocutore. C’è tutto scritto nei messaggi che Valerio Andreucci, ora in carcere con l’accusa di omicidio volontario, si scambia via WhatsApp con diversi interlocutori, almeno tre, tra le ore 4 e 51 di domenica ai frangenti successivi al delitto, commesso intorno alle 9 e 30. Tutti amici che, come emerge dall’esame delle celle telefoniche, domenica mattina non erano in provincia di Ancona.


E in una di quelle sequenze convulse, dove non sempre i destinatari dei suoi messaggi rispondono e a volte Andreucci dice anche di volersi uccidere, si può intuire il movente dell’omicidio. A un amico che lo implora di non compromettersi («due schiaffi sci, a creparlo lascia perde’ proprio») il giovane fantino ascolano scrive di non avere alternative. «Non posso sta’ tranquillo, lo capisci? Io lo faccio fuori». Come se il povero Olindo sapesse qualcosa di compromettente per Andreucci e il cavaliere temesse che stesse per denunciarlo. Cosa? Soldi, probabilmente, denaro che il collaboratore potrebbe aver sottratto per pagare dei debiti. Forse a un fornitore di droga, visto che davanti al gip Cimini (che ha tramutato il fermo in ordinanza di custodia cautelare in carcere) Andreucci stesso ha ammesso di aver sniffato quattro grammi di coca a una festa la notte prima del delitto. «Io sto andando su - scrive Andreucci in uno dei tanti messaggini ripescati dal consulente tecnico della procura dal cellulare dell’indiziato - Ho preso i miei soldi. Via Striscioni, 52. Ho lasciato nascosti dove lavoro 10.000 euro. Di quei soldi, i soldi che ti devo, e il resto è tutto per te fratello mio». È quasi un testamento via WhatsApp: «Io spero ti ricorderai di me come un fratello maggiore (si tratta in realtà di un amico, perché Andreucci ha solo una sorella, ndr) che ti ha voluto tanto bene. Sto andando su con il ferro. E lo faccio fuori. Poi mi ammazzo io».  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico