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ANCONA- Terzo stop forzato per il cantiere del caffè vista-mare. Dal Bar del Duomo lo sguardo non torna ancora a perdersi nell’Adriatico: i lavori per la sua rinascita non sono scattati, com’era previsto, mercoledì scorso. Antonio Ambrosio non ne fa mistero: «Non mi vergogno ad ammetterlo: ho paura». La suggestione del più bel panorama dorico questa volta si piega alla logica perversa dei rincari.
Le cifre
Il volto e l’anima del Giardino segue il viavai nel suo ristorante sul viale, ma con la mente è lassù, al bell’affaccio sul golfo, denso di memoria, inchiodato al presente, dominato dalla superba cattedrale romanica. Sotto lo sguardo di San Ciriaco, lui che dal 2013 è proprietario del locale, va dritto alla sostanza, alle cifre: «La ditta, di Ancona, con la quale avevo firmato un accordo mi ha chiesto 300mila euro in più. Altre due, una di Casette d’Ete e l’altra di Civitanova, mi hanno proposto importi simili. Ribadisco: ho paura, preferisco aspettare». Un timore, il suo, alimentato dalle incertezze del futuro prossimo. «Se nei prossimi mesi le materie prime dovessero aumentare ancora, com’è immaginabile che sia, tutti i contratti prevedono una clausola per l’adeguamento delle tariffe». È una catena, quella dei materiali, che strangola. «Se il ferro lieviterà del 30%, io che farò?».
Mette in chiaro: «Non mi sto preoccupando della nuova avventura, tanto fino a luglio non se ne sarebbe parlato.
I precedenti
Riavvolge il nastro di nove anni d’una trama sfilacciata, Ambrosio: una trafila di burocrazia e di ragioni della storia che riaffiorano. Lo scorso gennaio, quando firmò l’atto di concessione per 25 anni di gestione di quello spazio, gli ingranaggi ripartivano lenti. «Non riesco a trovare le ditte per iniziare i lavori. Mi hanno detto di aspettare settembre, ottobre. Non mi do per vinto, se ne individuo una domani parto subito», esultò subito dopo aver siglato il contratto, dal quale era scomparsa la clausola che permetteva al Comune di rientrare in possesso della struttura in qualsiasi momento. Una falsa ripartenza. Avrebbe dovuto correggere ancora una volta la rotta dell’entusiasmo da quando, nel 2013, subentrò alla precedente società. Prima di avviare i lavori di ristrutturazione, nel 2015, s’era trovato di fronte a un ostacolo: la Provincia aveva negato la sanatoria per una veranda di trent’anni prima, ordinandone la demolizione. Nel 2016, il secondo intralcio: durante i sondaggi richiesti dalla Soprintendenza, dal sottosuolo erano affiorati i resti dell’antica chiesa che sorgeva sul colle Guasco nel XIII secolo. Non era finita: nel momento in cui si stava per firmare la convenzione, aveva rispedito al mittente quel cavillo-capestro imposto dal Comune. Torna a ripetere, soprattutto a se stesso: «Ho paura». Il suo sguardo si perde nell’Adriatico.
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