«Paga o brucio il negozio». Poi ruba anche gli alcolici all'internet point: condannato a sei mesi

Il tribunale di Ancona
JESI  - Era accusato di aver chiesto una sorta di “pizzo” al titolare di un internet point: «O mi dai i soldi, oppure ti incendio il negozio». In...

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JESI  - Era accusato di aver chiesto una sorta di “pizzo” al titolare di un internet point: «O mi dai i soldi, oppure ti incendio il negozio». In più, la procura gli aveva contestato di aver gettato a terra uno scaffale del locale e di aver rubato bottiglie di alcolici e birre. Sul banco degli imputati, era finito con le accuse di tentata estorsione e furto aggravato un riminese di 36 anni, domiciliato a Jesi. Per entrambi i reati, ieri il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a due anni e otto mesi di reclusione. 

 


La stangata è stata evitata, perché il giudice Alberto Pallucchini ha decretato una pena di sei mesi, assolvendo l’imputato per l’accusa più grave. Era difeso dall’avvocato Chiara Carioli. Prima della discussione, è stato sentita la vittima con l’ausilio di un traduttore: si tratta del titolare, originario del Bangladesh, di un internet point/mini market situato in via Garibaldi, a Jesi. L’uomo non si era costituto parte civile. I fatti contestati risalivano a gennaio e febbraio del 2015.

Stando alla ricostruzione della procura, il 36enne aveva pesantemente minacciato lo straniero: «Se non mi dai i soldi, tu chiudi domani. Do fuoco a tutto il negozio» il tenore delle frasi minatorie rivolte al titolare dell’attività commerciale. In un’altra occasione, il 36enne avrebbe danneggiato lo scaffale del negozio, impadronendosi di bottiglie di superalcolici e birre. In precedenza, alcune bevande consumate non erano state pagate dall’imputato. Di qui, il clima di tensione creatosi tra le parti. Era stata la stessa vittima a denunciare il riminese alle forze dell’ordine, dando il via al procedimento penale che si è concluso ieri mattina. 


La difesa ha sempre respinto l’accusa di estorsione, sostenendo che – tra l’altro – la presunta frase minatoria contestata dalla procura non era neanche stata rivolta direttamente alla vittima e neppure all’interno dell’internet point. Inoltre, l’imputato non avrebbe mai ricevuto denaro dal titolare del negozio di via Garibaldi, ancora operativo. 
Federica Serfi Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico