Per Sabrina e Sara la Croce Gialla è una grande famiglia: «Io e mia madre in servizio. Quante emozioni condivise»

Mamma e figlia angeli del soccorso
ANCONA - Lei si chiama Sara Menghini e ha 28 anni; la madre, che di anni ne ha 54, è Sabrina Guidi. Entrambe fanno servizio in Croce Gialla ad Ancona e dalla sede di via...

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ANCONA - Lei si chiama Sara Menghini e ha 28 anni; la madre, che di anni ne ha 54, è Sabrina Guidi. Entrambe fanno servizio in Croce Gialla ad Ancona e dalla sede di via Ragusa in tempi di Covid19 arriva questa storia da libro cuore non comune per una associazione di volontariato. Cosa ha spinto madre e figlia ad indossare la divisa arancione e salire sui mezzi di soccorso lo racconta Sara, autista del 118. «Ho iniziato a fare volontariato diversi anni fa, poi sempre in Croce Gialla mi è stata data la possibilità di effettuare il Servizio civile e durante quel periodo ho conseguito la laurea in statistica. Nonostante il lavoro ho continuato a prestare la mia opera di volontariato, a forza di parlarne a casa sono riuscita a trascinare anche mia madre. Spesso facciamo servizio insieme, è un modo per sentirci utili e dare una mano a chi è in difficoltà. Essere militi in Croce Gialla significa far parte di una grande famiglia ma in modo particolare avere un ruolo in un progetto di utilità sociale». 


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Difficile in periodo di pandemia salire sulle ambulanze. «Ogni volta che suona il telefono collegato alla centrale operativa del 118 il cuore batte a mille, non sai mai a cosa vai incontro. I primi periodi avevo paura, poi grazie ai miei colleghi poco alla volta sono riuscita ad entrare nei meccanismi sull’uso dei dispositivi di protezione. Bisogna fare attenzione ad ogni singolo movimento, in servizio non sono ammessi errori o distrazioni. Il protocollo deve essere eseguito alla perfezione per evitare il rischio di contagio». Madre e figlia si sono ritrovate a soccorrere persone positive al Covid19. «La cosa che più ci fa soffrire, ma non possiamo fare diversamente, è presentarci a casa della gente con tuta, guanti e caschi protettivi. Noi volontari eravamo abituati ad avere un contatto umano con i pazienti ma ora tutto questo non è possibile. Indossare quei dispositivi di protezione ci tormenta il fisico ma anche l’anima. L’altro giorno un signore che abbiamo portato in ospedale, positivo al Covid, mi ha guardato negli occhi e dopo avermi chiesto se ero volontaria mi ha detto che sotto quel casco di protezione c’era una persona dal cuore grande. Mi sono commossa, non è stato semplice trattenere le lacrime, la gente ti parla con gli occhi, ha paura di essere portata in ospedale e di non poter rivedere i propri cari. Ci è anche capitato di soccorrere una donna di circa 50 anni che dopo due giorni è venuta a mancare proprio a causa del Covid 19. Quando l’abbiamo lasciata in ospedale nonostante le difficoltà a respirare piuttosto evidenti ci ha sorriso, quasi che ci volesse stringere la mano». Con Sara e la mamma Sabrina c’è poi il resto della famiglia. «Papa Marcello è orgoglioso di quello che stiamo facendo, ci dà coraggio e ci sostiene, sa benissimo quanto siamo responsabili in servizio. Sarà difficile portare pure lui in Croce Gialla, ma niente è impossibile». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico