Il Piccadilly tira il freno: «La musica è finita». Era un simbolo di Chiaravalle

Il Piccadilly tira il freno: «La musica è finita». Era un simbolo di Chiaravalle
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CHIARAVALLE  - «Diciamo basta. Grazie, è stato bello, ma dopo 15 anni di attività musicale, in queste condizioni non possiamo continuare». È amareggiato, e non lo nasconde Giordano Canonico, titolare da 35 anni col fratello Giorgio del Piccadilly, locale di culto a Chiaravalle, punto di riferimento che, oltre al buon cibo, propone spesso concerti live. «Il problema della sicurezza nei locali è sempre esistito - dice Canonico - ma qualcuno sembra essersene accorto solo oggi. Ci mettono di fronte a un bivio: essere un locale di pubblico spettacolo con adeguamenti di sicurezza per noi impensabili, per costi e organizzazione; oppure essere un bar ristorante con “musica accessoria” soggetto a limitazioni, come non avere uno spazio che evidenzia che si assiste a un concerto, che è solo un’attività di supporto a una cena. Quindi non si possono programmare gli eventi, ma si deve puntare sull’occasionalità senza poterli pubblicizzare, mortificando gli artisti con situazioni che li obbligano a dover nascondere la propria arte». 


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Canonico sottolinea come lo sforzo del Piccadilly è sempre stato sostenuto dalla passione anche facendo, grazie alla competenza del direttore artistico Renzo Canafoglia, un lavoro di proposte musicali di nicchia molto apprezzato. «Abbiamo portato a suonare da noi personaggi che sono poi divenuti celebri - Levante, Gabriella Martinelli, Celona, Bianco, Guido Maria Grillo, Daniele Groff, Umberto Maria Giardini, Riccardo Sinigaglia, Vanessa Peters - facendo un grande lavoro di scouting e promuovendo musica d’avanguardia, valorizzando artisti del territorio. Ora non ce la sentiamo di far finta di nulla e di nascondere come fosse un reato quello che per noi è bellezza da difendere e da diffondere». 


Canonico incalza: «C’è la sensazione di rischiare sempre sanzioni per una attività che dovrebbe essere sostenuta e invece è ostacolata. Abbiamo sempre il dubbio di essere con un piede fuori dalle leggi. I concerti live non erano per noi un’attività remunerativa, ma una passione da condividere. La musica in Italia non è considerata cultura ed è spesso trattata come una rottura di scatole proposta da perditempo. Ho visto molte realtà simili alla nostra in giro per l’Europa, ma non c’era questo clima ostile. Per questo abbiamo deciso di fermarci. Ci dispiace molto per i tantissimi che ci seguivano». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico