Sos boutique, affitti choc: anche 100 euro al metro quadro. «Così il Corso si svuoterà»

Sos boutique, affitti choc: anche 100 euro al metro quadro. «Così il Corso si svuoterà»
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ANCONA Fino a 100 euro a metro quadro. Che per un negozio di piccole dimensioni si traducono in 5-6mila euro al mese, quando va bene. Sopravvivere in queste condizioni è impossibile. Perché poi non ci sono solo gli affitti stellari a soffocare i bilanci. Le bollette, le tasse, il costo del personale, la spietata concorrenza dell’e-commerce compongono un mash-up di congiunture negative che finiscono per stritolare i “bottegai”.

 

In questa giungla senza regole vincono le grandi catene, favorite dai vasti capitali e dall’economia di scala, ma perdono le boutique, le attività a gestione familiare e, più in generale, il centro, che così rischia di smarrire la sua identità e, di conseguenza, il suo appeal: è uno dei (tanti) motivi per cui la città si svuota. 


Il potere d’acquisto 


«Gli affitti sono arrivati alle stelle, sono troppo alti rispetto alle potenzialità del Corso che ha perso le sue peculiarità - riflette Elena Quercetti, volto e tenacia delle Profumerie Galeazzi -. È calato il potere d’acquisto delle famiglie, il cliente medio sta scomparendo. E il margine di guadagno per noi è sempre più sottile anche a causa delle tasse, delle utenze, della concorrenza dell’online». Amara considerazione: «Non so quanto convenga rimanere in corso Garibaldi, ma è anche vero che le periferie sono degradate. Non restano che i centri commerciali». 


Il trend


La fuga dal boulevard dello shopping anconetano è un trend piuttosto marcato degli ultimi anni. C’è chi ha dovuto alzare bandiera bianca, travolto dai costi, chi ha cambiato quartiere alla ricerca di affitti più ragionevoli e nuove fette di mercato e chi, semplicemente, ha rinunciato al Corso per riposizionarsi nelle traverse circostanti, scelta compiuta da boutique storiche come Ragnetti (traslocato in corso Stamira) e Milton (con i due punti vendita in via Lata). Basta spostarsi di pochi metri, magari dietro l’angolo, per tagliare di netto i costi fissi, a scapito però della visibilità.

Poi ci sono gli irriducibili, quelli che per nulla al mondo rinuncerebbero al Corso, come Michele Zannini del Caffè Giuliani. «Ma gli affitti incidono in modo sempre più pesante - confessa -, specialmente in un capoluogo che non fa il suo dovere e non attira turisti: senza eventi che creino un giro giusto, gli incassi non bastano e il privato fatica ad andare avanti. È un assist per le grandi catene che, per carità, non vanno demonizzate, ma certo non offrono un servizio esclusivo per il cliente. E così il Corso rischia di svuotarsi o, comunque, di perdere i suoi tratti distintivi».

Ne sa qualcosa Giorgio Pavani, highlander delle boutique. «Siamo rimasti in pochi, il centro si è impoverito ed è svilito da una domanda sempre più bassa e da un’offerta di scarsa qualità - osserva il titolare di Lay Line in largo Sacramento -. Il Corso ormai è appannaggio delle grandi catene perché i piccoli negozi non possono competere con la loro potenza economica, se ogni mese devono sborsare 4-5mila euro per pagare l’affitto. È vero che siamo in un mercato libero, ma i proprietari degli immobili dovrebbero capire che l’eccessiva speculazione non fa bene a nessuno: c’è chi preferisce mantenere un negozio sfitto pur di non ridurre le pretese». La ricetta per sopravvivere? «Trovare un punto d’equilibrio tra qualità e prezzo - sostiene Pavani -, rinunciando a capi d’abbigliamento troppo costosi che il cliente medio non può più permettersi ma senza dirottare su prodotti troppo commerciali». 

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Corriere Adriatico