ANCONA - Per il perito di parte, era solo una ragazzina «profondamente immatura» e condizionabile per via della «forte dipendenza affettiva» dall’ex...
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Era stato il killer a mostrargliela, insieme ai caricatori e ai proiettili che la 16enne avrebbe anche sfiorato. «Pensavo fosse un giocattolo», si è sempre difesa. Ma la tesi non è stata accolta dal giudice perché negli interrogatori ha confessato di aver messo in conto che con quella semi-automatica, vera o finta che fosse, il fidanzato avrebbe potuto minacciare i Giacconi. Un elemento contraddittorio rispetto a quello che doveva essere soltanto un confronto pacifico e sereno con i genitori che osteggiavano la loro storia d’amore.
Dopo il delitto Per il Pm, è indicativo anche il comportamento post-delitto della minorenne. In particolare la fuga con Antonio, che la 16enne ha imputato alla paura di essere uccisa e poi ha giustificato con una forma di condizionamento nei confronti del fidanzato, che l’avrebbe aiutata a superare lo choc per la morte dei genitori. Erano ancora agonizzanti, in un lago di sangue, quando ha deciso di scappare con il killer. Non ha urlato, non li ha soccorsi, non ha chiesto aiuto. Per il magistrato è un ulteriore riscontro sulla colpevolezza della studentessa per la quale ha chiesto il riconoscimento del dolo intenzionale, il più grave grado di dolo prima della premeditazione che, pure, non hanno mai preso in considerazione neanche i carabinieri del Reparto operativo, guidati dal comandante provinciale Stefano Caporossi.
Proprio le intercettazioni ambientali registrate dai militari, dopo l’arresto, sono state determinanti: parlando con i familiari, il killer ripercorre in modo lucido le azioni compiute e spiega di essere stato istigato dalla fidanzata. Azioni che sono state commesse «in simbiosi e in piena sintonia, volutamente dirette alla morte» di Fabio Giacconi e Roberta Pierini. Di qui la richiesta di condanna ad una pena più alta possibile, tenendo conto del rito abbreviato, della minore età e della condizione di incensuratezza dell’imputata, ma anche dell’aggravante del fatto commesso sugli ascendenti. Per la difesa, che chiedeva l’assoluzione, è stato un colpo durissimo. «Se ce lo aspettavamo? Sì, lo avevamo messo in conto dopo la richiesta del Pm» ammette l’avvocato Paolo Sfrappini, che col collega Augusto La Morgia preannuncia ricorso in Appello. «L’intenzione è quella, aspettiamo il deposito delle motivazioni.
Ora dobbiamo metabolizzare questa notizia perché l’impatto è stato notevole e anche da parte nostra c’è una partecipazione umana ed emotiva nei confronti di una ragazza molto giovane. Ora proseguirà il suo percorso psicoterapeutico e cercherà di riprendere gli studi, se non proprio a scuola, nel carcere di Nisida». La 16enne è scoppiata in lacrime quando il giudice ha pronunciato la sentenza. Con lei c’erano i familiari che «l’hanno consolata, le sono stati sempre vicino e continueranno ad esserlo - spiega l’avvocato Marco Pacchiarotti -. Resta in loro la convinzione dell’estraneità della ragazza a questa vicenda». Quanto ad Antonio Tagliata, le indagini stanno per chiudersi: oggi l l’audizione davanti al Gip dello psichiatra Vittorio Melega che illustrerà la perizia psichiatrica sul killer. Poi il processo. Sullo sfondo, il rischio dell’ergastolo. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico