Addio al professor Riccardo Cellerino fondatore dell'oncologia marchigiana

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ANCONA - Sanità in lutto. È morto il professor Riccardo Cellerino, per oltre vent’anni direttore della Clinica di Oncologia Medica di Torrette. Se ne è andato martedì sera, nella sua casa di via Bezzecca, a 73 anni. Invano ha lottato contro una malattia che non gli ha lasciato scampo. Proprio lui che ha passato tutta la vita a cercare di alleviare i mali dei tanti pazienti avuti nell’arco della carriera. Molteplici i successi ottenuti e i traguardi toccati, soprattutto in campo accademico dove Cellerino ha avuto modo di fondare una vera e propria scuola di specializzazione.


Originario di Cuneo, era arrivato nel capoluogo marchigiano nel 1979, anno in ci prese le redini della Clinica oncologia, diventando anche uno dei primi professori della facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche. Da docente, ha formato diverse generazioni di medici, diventando un punto di riferimento regionale per l’oncologia. Dopo la pensione, nell’ottobre 2010, la Clinica è passata nelle mani di due suoi allievi. A presiederla, prima Stefano Cascinu, poi Rossana Berardi. «Praticamente - afferma la dottoressa Berardi - la mia carriera professionale, come quella di tanti altri medici, si è formata con lui. Il suo merito più grande è stato quello di aver creato una scuola e di aver fatto crescere decine di giovani che oggi ricoprono posizioni importanti in diverse sedi ospedaliere delle Marche. È stato un maestro rigoroso, serio e di un’onestà intellettuale infinita».


Un professore vecchio stampo, tanto che amava parlare ai suoi allievi in latino, ma anche con un occhio proteso verso il futuro: «Aveva molti contatti con l’estero - continua l’attuale direttrice della Clinica - e quando bisognava trattare i casi clinici non aveva un atteggiamento individualista. Aveva capito, forse prima di tutti, che analizzare una cartella in team era più produttivo che lasciar fare a un solo cervello. Proprio quando eravamo in gruppo, ci parlava in latino. Chiedeva spesso: usque tandem? per domandarci fino a che punto una terapia doveva spingersi, sottolineando la necessità di un monitoraggio costante della malattia». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico