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ANCONA - Già la collocazione del cartello del parco, “Un museo a cielo aperto”, nascosto dietro sbarre di metallo all’ingresso lato Villarey sintetizza la sciatteria con cui il Cardeto è stato gestito in tutti questi anni: un gioiello maltrattato, svilito, oltraggiato. In altre città sarebbe una risorsa: ad Ancona è sempre stato un problema, se non un peso. Con il dovuto rispetto, potrebbe essere una Villa Borghese in salsa dorica, pure più bella perché è a picco sul mare: magari lo diventerà un giorno, quando i maxi progetti pensati dal Comune si trasformeranno in realtà, come il Faro da riaprire al pubblico o l’ex caserma Stamura da trasformare in sede dell’Archivio di Stato.
I danni perenni
Ma intanto oggi il Cardeto è un non-parco, dove passeggiare nei sentieri naturalistici è impegnativo per una giungla che quasi li cancella, portare i bambini è rischioso perché i giochi sono fatiscenti e perfino sedersi sulle panchine è rischioso: alcune sono state danneggiate o incendiate, altre non danno per nulla il senso di stabilità.
Le irruzioni
Tocca stare attenti a dove si mettono i piedi (e le mani) pure al belvedere intitolato a Pablo Neruda: le assi in legno sono sconnesse, perforate. Eppure sono passati solo 4 anni da quando era stato riqualificato dal Comune. Lavori effimeri che, sommati al degrado e a un’immagine di generale decadimento, spingono i vandali a colpire - come hanno fatto al Faro ottocentesco, imbrattato di vernice spray - e i ragazzini a intrufolarsi in spazi proibiti. Ieri mattina un gruppetto di giovani, studenti che avevano marinato la scuola a giudicare dagli zainetti al seguito, ha scavalcato il cancello per accedere, attraverso una porta sfondata, al bastione San Paolo e salire sul tetto a fumare. Forse non sanno che la struttura è fatiscente e a rischio crollo. Qualcuno - ma stavolta potrebbe essere stato un clochard - ha violato pure il rudere che sorge accanto alla Polveriera Castelfidardo (riqualificata eppure inutilizzata: perché?). C’è una rete sollevata, l’inferriata all’ingresso è stata forzata e dentro sembra il set di un film horror: pareti scrostate ricoperte di scritte, pezzi di muratura e lamiere a terra e c’è pure una pericolosa bombola. Tutto lascia credere che sia tornato ad essere un luogo di raduni clandestini e di bivacchi.
Scenario post-bellico
Ma l’intera area che dalla Facoltà di Economia si addentra nel parco assomiglia a uno scenario post-bellico: casermaggi distrutti, rovine devastate da decenni d’abbandono, vetri rotti, invasioni di piccioni, porte pericolanti serrate da chiavistelli. Roba da far venire i brividi a chi mai un giorno dovesse tornare ad accedere al Deposito del Tempo, il manufatto ottocentesco recuperato nel 2005 e trasformato in biblioteca multimediale e punto d’accoglienza per il Campo degli Ebrei: è di nuovo nel degrado, così come il Chayim, il percorso della memoria, il cui allestimento costò 850mila euro. Una costante, in un Cardeto sin troppo selvaggio. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico