Rinviato di 3 mesi il giudizio della Cassazione su Pinti, l'untore dell'Hiv. «Le vittime muoiono ogni giorno di più»

Slitta il giudizio della Cassazione su Claudio Pinti
ANCONA - «Le attese fanno morire le vittime di violenza ogni giorno di più, non c’era bisogno di aspettare tre mesi. Abbiamo bisogno di chiudere un cerchio al...

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ANCONA - «Le attese fanno morire le vittime di violenza ogni giorno di più, non c’era bisogno di aspettare tre mesi. Abbiamo bisogno di chiudere un cerchio al più presto per riprendere in mano la nostra vita».

 

Romina Scaloni dovrà attendere fino al 15 dicembre per conoscere il destino giudiziario di Claudio Pinti, l’ex autotrasportatore jesino di 38 anni che, stando ai giudizi di primo e secondo grado, l’ha infettata con l’Hiv, nascondendole la malattia. 
Venerdì, in tarda serata, era atteso il verdetto della Cassazione se rendere definitiva o meno la sentenza a 16 anni e 8 mesi, inflitta dal gup di Ancona e ribadita in appello per i reati di omicidio volontario e lesioni gravissime. Ma, attorno alle 23, il presidente ha rimandato il verdetto in base all’articolo 615 del Codice di procedura penale secondo cui il giudizio può essere rinviato dopo la discussione «per la molteplicità o per l’importanza delle questioni da decidere». Da una parte l’attesa, dall’altra un punto fermo: attorno alle 18 di venerdì Pinti è tornato in carcere, a Montacuto, dopo il rigetto da parte della Cassazione dell’impugnazione del difensore Massimo Rao Camemi sul provvedimento del del Riesame che aveva stabilito come il 38enne dovesse lasciare i domiciliari (dove si trovava da maggio). 
«Contenta che sia tornato in carcere – ha detto Romina Scaloni – ma non perché sono una persona vendicativa, ma perché penso che le persone che sbagliano devono pagare. Pinti è pericoloso e i giudici devono capirlo. È da un anno e mezzo che aspettavo il giorno della sentenza, fissato tra l’altro nella ricorrenza del compleanno di Giovanna (Gorini, l’ex convivente morta per una patologia tumorale connessa all’Hiv, ndr), e ora devo attendere ancora. Sono sfinita, in questa vicenda ho sempre lottato da sola, per me e per Giovanna. L’importante è che l’attesa valga la condanna: non voglio che stia in misura cautelare, ma che sia detenuto in via definitiva». A Roma, a rappresentare la donna che nel maggio 2018 ha denunciato Pinti, c’era l’avvocato Alessandro Scaloni. Ha espresso «grande soddisfazione per il rigetto del ricorso sulla misura cautelare». I domiciliari, decisi dalla Corte d’Appello, sono stati il frutto di «una decisione incredibile, basata esclusivamente sull’inizio da parte di Pinti della terapia antiretrovirale, come se fosse indice di un ammorbidimento delle sue convinzioni negazioniste. Si è invece trattato di un comportamento furbo e strumentale per uscire dal carcere». Sul rinvio della Cassazione: «Sono fiducioso della conferma delle due sentenze. La difesa ha focalizzato l’attenzione su una questione formale, legata a una mancata presenza di Pinti a un’udienza del gup. È l’ennesimo tentativo di strumentalizzare la giustizia». 


I familiari di Giovanna Gorini sono assistiti dai legali Cristina Bolognini ed Elena Martini: «Questi mesi serviranno alla Corte per estendere una sentenza importante. La Cassazione ha già fatto un passo fondamentale per rendere giustizia alle vittime revocando a Pinti i domiciliari. Ci auguriamo che a dicembre finalmente la famiglia Gorini, che ha fiducia nella giustizia, veda in via definitiva confermata la responsabilità di Pinti». «Il tempo ci sembra un po’ eccessivo – ha detto l’avvocato Rao Camemi – soprattutto perché parliamo di un procedimento dove c’è un detenuto che ha comunque diritto di una pronuncia, a torto o ragione. Evidentemente, la decisione è risultata essere più complessa di quanto i giudici avevano ipotizzato. Se fosse stato sostenuta la tesi delle parti civili, probabilmente non avremmo avuto questa situazione». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico